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Channel: Lo Sgargabonzi !
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C’era una volta in America

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Fat Moe chiede al vecchio ritrovato Noodles cosa ha fatto in tutti quegli anni. Noodles sta appendendo il suo cappotto, si blocca, prende una pausa e gli fa: “Sono andato a letto presto”. E il pubblico, durante la pausa-cappotto, ha già scandito sottovoce la risposta di Noodles. Ognuno in quella sala l’ha fatto con quel sorriso sornione di chi la sa lunga, di chi della vita ha assaggiato tanto la merda che l’ambrosia ed è caduto mille volte ma una volta in più s’è rialzato. Ognuno in quella sala, se solo non si fosse fatto così tardi, avrebbe pagine su pagine da raccontare. In quell’attimo siamo tutti un po’ come Noodles. Mi correggo: sono tutti un po’ come Noodles.
C’era una volta in America è un film per certi versi straordinario. Soprattutto nell’essere la perfetta radiografia della modestia umana, emozionale ed emotiva del suo autore. Una lastra talmente nitida da provocare un senso di colpa nello spettatore per il proprio indotto voyeurismo. Il grande, immenso Sergio Leone è in realtà un omarino ingenuo, d’uno sprezzo del ridicolo commovente, degno davvero della commedia dell’imbarazzo. Sergio Leone come l’Ispettore Clouseau, ma molto più afferrabile, molto meno complesso e interessante. Il suo cinema è maestoso e sicuramente epico nei suoi interni in rovere scuro, ma la scintilla che c’è dietro è solo lo sguardo piccolo piccolo d’un puttaniere della domenica che sta cercando di scroccare un pompino ad una tossica. Uno di quelli che il massimo dell’erezione lo raggiungono mentre contrattano sul prezzo. Ci sono stronzi nella vita di cui ho il massimo rispetto, conosco pedofili di straziante bellezza, ma Leone in questo film riesce solo a farmi sentire in imbarazzo per lui.
Dove prendi, prendi bene. Ormai adulto, ricco e spietato come il Conte di Montecristo, Noodles salta addosso a Deborah, il suo etereo amore dell’infanzia, violentandola sul retro d’una Rolls Royce. Lo stupro più revisionista della storia del cinema, girato programmaticamente come un’aggressiva pubblicità d’autore per la Calzedonia o per un profumo con un nome tipo Orgasmo d’alcantara. Ciò di cui Sergio Leone vorrebbe convincersi e convincerti è che in quella violenza si nasconda – e nemmeno tanto – un atto d’amore d’una bellezza toccante e adamantina. E’ da notare come la cinepresa resti poi attaccata a Noodles, che scende dalla macchina, se la prende con calma, s’accende una sigaretta e volge malinconico lo sguardo all’infinito, come Ryu alla fine di Street Fighter II. Noodles è un perdente, certo, dirà in automatico la Difesa. Ma è esattamente il perdente che Sergio Leone e i suoi leonini darebbero via i polmoni della madre per poter essere, quelli che possono inculare senza sputo le donne dei tizi senza cappotto né sigaretta all’infinito. La pochezza emozionale di Leone la vedi nei dettagli. Come un fregnone che ha rotto il vetro della credenza, il regista di Tor Pignattara ha l’ansia di farti sapere che la donna sodomizzata in banca in fin dei conti se l’era cercata e le piaceva pure. E’ solo una puttana, come tutte le donne del resto, madri escluse. Tutte felici di occuparsi delle loro stronzate, tutte che ci tengono a dare il culo tanto da farne una questione di principio. Prezzolate, ridicole ed eccitate dall’esserlo. E non è quello il problema, visto che non conta mai cosa si racconta ma come lo racconti. Ben venga un personaggio caratterizzato così! Ma è diverso se tu autore te le inventi di tutte per farmi sapere, ad ogni singola inquadratura, che la pensi esattamente come lui. E, come la medicina cattiva sciolta nella minestra ai vecchi, pensi di ammansirmi coi glissando di Morricone per sdoganare le tue verità facendole, piano piano, diventare le mie. L’imbonitore Leone non si risparmia sulle strizzate d’occhio goliardiche attira-consensi. La prostituta con cui Max ha appena fatto scopare Noodles uscito dal carcere ne è un esempio. Se ne va e Max la invita ad entrare con loro nel bar. Le fa: “Prendi qualcosa?”. E lei: “No grazie… ho già preso tutto!”. E il pubblico sigaretta all’infinito se la ride garrulo insieme a Max, Noodles e Leone. Ed è sempre la risata a mezza bocca di chi nella vista ne ha viste tante, una volta addirittura una mongolfiera. L’unico modo che ha Noodles per conquistare Deborah è prenotare tutti i tavoli di un ristorante di lusso, farli apparecchiare per due e dirle di scegliere dove vuole sedersi. Il problema arriva quando si percepisce che anche per il povero Leone quello è l’unico modo.
Insomma, tanto è monumentale la messa in scena, quanto è risibile il peso specifico delle emozioni. Leone, inconsciamente al corrente dei suoi limiti, cerca disperatamente d’infiammare l’empatia dello spettatore col più stordente e vuoto lirismo, quasi temendo che possano esistere al mondo gente con tasti diversi dai suoi. “Blublublublublublu non voglio sentire blublublublublu”C’era una volta in America è un’accattivante storiaccia raccontata da un pappone, un ruffiano che vuol piacere a tutti e che ci prova con tutti i suoi poveri, patetici mezzi. E con una messa in scena bellissima e sontuosa, che però è la stessa cosa che potrei dire dei mercatini di Hemmaus o di un gioco da tavolo dalle meccaniche deludenti come Twilight Imperium. Non bastano due tavoli per farcelo stare tutto e ogni partita dura minimo sei ore, ma alla fine della fiera t’accorgi che si meritava giusto il tempo per capire che era tutta scena, tutte tessere colorate e perline di plastica.
Ce lo vedo Sergio Leone. L’immancabile panzone barbuto di quei gruppi di amici che la domenica vanno a caccia, ma il venerdì hanno preso la buona abitudine di scoparsene una tutti insieme. La verità è che ciò che li eccita non è la tipa di turno, ma la visione della chiappe sudate e contratte dell’amico vicino. Loro vorrebbero solo raccogliergli dolcemente quella goccia salata con la lingua e tenerne lo scroto in bocca ma, pulcini, hanno vergogna a dirlo.



Non tutti sanno che…

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  • Davanti alla furia omicida di Rosa Bazzi e Olindo Romano, Raffaella Castagna ebbe la perfetta cognizione di quanto lei e la sua famiglia li avessero esasperati tanto che fu lei ad accoltellare al collo la madre.
  • Michele Misseri per sfuggire alla cattura usò il trucco del riflesso sullo specchio come la Calamai in Profondo Rosso. Furbo.
  • Per una curiosa interferenza o una risposta errata delle sinapsi, le ultime parole della madre di Pietro Maso al figlio furono: “Vi perdono ma inginocchiatevi”.
  • Pedro Almodovar dirigerà un film sulla strage di Novi Ligure: Erika è Omar.
  • Il coltello con cui Anna Maria Franzoni uccise il piccolo Samuele non venne mai ritrovato e, al suo posto, fu rinvenuto un piccolo martello. In realtà il coltello era stato forzosamente nascosto nel posto più banale ma sicuro: dentro Samuele. Infilato per via orale col piccolo martello.
  • Il tritolo usato nella strage di Capaci fece volare così lontano corpi e lamiere che la testa di Giovanni Falcone finì sulla torta di un bambino leucemico durante un compleanno all’aperto, un attimo prima di soffiare le candeline.
  • La morte di Paolo Borsellino smosse poco e niente di commozione rispetto a quella di Falcone anche perché, comprensibilmente, a quel punto la gente se l’aspettava.
  • La sparizione della piccola Denise Pipitone, in Polinesia è considerata un ballo popolare, una specie di calipso.
  • Alighiero Noschese si suicidò accidentalmente bevendo un bicchiere di veleno per topi. L’aveva scambiato per shampoo.
  • Pare che Giovanni Brusca una volta sciolse delle ciliegie nell’acido.
  • Nicolae Ceaușescu, la mattina in cui fu portato davanti al plotone d’esecuzione, si mise il cappotto pesante perché quel Natale faceva un freddo barbino.
  • Una volta Emanuela Orlandi, in un campeggio col fidanzato, si chiuse dentro il sacco a pelo. Il fidanzato aprì la zip ed Emanuela non c’era più. Poi richiuse e riaprì e c’era ancora.
  • In obitorio, davanti al corpicino esanime e nudo di Tommaso Onofri, al padre venne durissimo da mandar via un groppo in gola.
  • Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro furono assolti quando venne appurato che la vittima, Marta Russo, morì un attimo prima dell’impatto col proiettile per lo spavento di vederselo arrivare contro. Dovettero però pagare una multa di 120 euro per aver sparato ad un cadavere. I due fecero ricorso ma senza ottenere risultato.
  • Benito Mussolini fece fucilare il genero Galeazzo Ciano perché pare avesse detto “elefante” ma il Duce aveva capito “impotente”, però aveva sul serio detto “elefante”.
  • Raul Gardini si fece scoppiare il cranio perché pensava che dentro c’erano le caramelle.
  • Nei primi momenti, la pista che prese campo per la strage dell’11 settembre fu quella dell’omicidio passionale.
  • Adolf Hitler più che cattivo era nervoso.
  • Ciò che provava Angelo Izzo, mentre sodomizzava Sofia Lopez con un coltello da pesce, era il sentimento purpureo della melancolia nel meriggio.
  • Pochi sanno che Amanda Knox ha sotto i piedi dei tatuaggi raffiguranti il volto di Aldo Agroppi, per poterlo calpestare ad ogni passo.
  • Il mostro di Firenze era Piero Dorfles.

I film di paura

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Quand’ero bambino, divoravo letteralmente qualsiasi cosa fosse catalogabile come “dell’orrore”. Film, fumetti, giochi da tavolo, figurine degli Sgorbions, schifezze gelatinose, pròtesi, pure qualche libro di Stephen King che compravo ma non leggevo ma compravo, rigorosamente prima edizione rilegata del Club degli Editori. Come per molti miei amici, le notti dei venerdì d’estate erano sacre, perché su Italia1, in seconda e terza serata, c’era da beccarsi due film dell’orrore uno via l’altro, oltretutto interrotti da poche reclami. Erano anni a cavallo fra gli ’80 e i ’90, quelli dell’indimenticato ma dimenticabile programma contenitore Zio Tibia Picture Show. E fu in quelle proibite double-feature da carbonari che conobbi titoli quali Ammazzavampiri, Unico indizio la luna piena, L’occhio del gatto, Chi è sepolto in quella casa, La casa di Helen e tante altre decenti pellicole anni ’80. Ma, chissà come, alla fine c’era sempre un motivo per cui rimanevo almeno un filo deluso. Metti quando vidi per la prima volta Profondo rosso. Per dire, a me i film di Dario Argento non hanno mai fatto né caldo né freddo. Un assassino in guanti neri e cappello a tesa larga che t’aspetta dietro una porta armato di rasoio e carillon poteva esistere pure nella vita reale, quindi non mi stupiva. Anzi, era più facile che mi ci rispecchiassi. Al contrario, il cadavere del dottor Valdemar sul suo letto di morte, in decomposizione da giorni ma in sospensione mesmerica, da cui esce la sua voce lontana, spettrale e piena d’angoscia che descrive cosa c’è dopo che si smette d’esistere. Beh, quella era roba da imboccare la finestra più vicina e buttarsi di sotto per gli spaventosi, oscuri e incontenibili scenari che dava in pasto alla tua immaginazione.
Ma le pellicole più belle le davano d’inverno su Italia7, in notti infrasettimanali che poi la mattina dopo andavi a scuola. I miei non mi facevano stare alzato fino a notte fonda. Non me lo permettevano per Indietro tutta o il bagaglino, figuriamoci per i film di paura. Quindi dovevo arrangiarmi di conseguenza e i casi erano due: o forzare la cosa buttandola sul polemico, oppure trovare un escamotage. Poiché in casa mia vige da sempre la meritocrazia, fin da piccolo i miei mi davano un discreto ascolto. Quando passai alla Prima Comunione, mi feci regalare un videoregistratore (un indiavolato Phillips a due testine che attirava tutti i fulmini della Valdichiana) e, durante quelle notti di sangue e moncherini, facevo stare in piedi mio padre perché amputasse le pubblicità. D’altronde io sono un incurante redneck solo con me stesso, per il resto sono sempre stato un monomaniaco precisino, morboso e unticcio col prossimo. Mio padre detestava i film dell’orrore, amando solo quelli di gangster e i lacrimarelli tipo Incompreso o le fiction con Gianni Morandi ma anche le morti di Corrado Cattani da passare alla moviola. E però, pur controvoglia, restava sveglio, forse intuendo d’avere un figlio con la “luccicanza”. Purtroppo, il giorno dopo, quando andavo a rivedermi il film, scoprivo puntualmente che mi aveva tolto solo le pubblicità del primo tempo. Allora diventavo idrofobo come Cujo. L’uomo dal canto suo si giustificava dicendo che, povera stella, a un certo punto s’era addormentato perché era stanco, ché in banca aveva fatto gli straordinari e si sarebbe alzato alle 6 per guadagnare quel tanto che basta per comprarmi le espansioni di HeroQuest. E pigliati un caffè, porca puttana! Che poi, a rivedere oggi quelle cassette, la cosa più bella sono proprio le pubblicità del Carpené Malvolti. Ad averlo saputo.
Su Italia7 scoprii film pazzeschi. La Casa di Sam Raimi, per esempio, l’unico film dell’orrore che mi abbia da sempre, oltre che angosciato, attivamente terrorizzato. Tipico horror-comico dove non ho mai trovato niente, ma proprio niente da ridere. Cosa vuoi ridere della ragazza di cui sei innamorato che diventa un demone kandariano e devi farla a pezzi con la motosega e però all’ultimo momento torna in sé e la ami ancora di più ma poi no, era solo un riflesso nervoso e allora giù di motosega e lacrime ma soprattutto motosega! Tanta! Troppa! Cosa c’è da ghignare nella decomposizione più isterica e spaventosa concepibile, roba che, quando pare finita, c’è pure tempo per far uscire lentissimamente del purè Knorr dal polso! La Casa era l’unico film che, per vederlo, accendevo il televisore, facevo partire la videocassetta e uscivo da camera mia. Lo spiavo dal corridoio, in piedi, con dalla porta accostata, col volume rigorosamente a zero (la voce dei morti era ciò che mi spaventava di più). Altro livello rispetto ai film dello Zio Tibia! Su Italia7 scoprii capolavori come Zombi di Romero, Space Vampires di Tobe Hooper e soprattutto Creepshow, sempre di Romero, uno dei film che mi ha fatto amare il cinema. La versione televisiva aveva un episodio in più rispetto a quella cinematografica e, oltretutto, era il più bello dei cinque. Già il titolo era qualcosa: La morte solitaria di Jordy Verrill. Unico attore in scena era nientemeno che uno strepitoso Stephen King, anche autore della sceneggiatura. L’episodio raccontava di un malinconico e solitario redneck nel cui giardino, una notte, si schianta un piccolo meteorite. Jordy sogna di svoltare vendendo quei “cocci di meteorite” a qualche fantomatico ente scientifico, ma non sa che toccandolo ha contratto un virus che lo trasformerà lentamente in erba. E l’episodio scandisce implacabile proprio l’ultima notte della vita del bifolco. Quando, per chissà quale allineamento astrale, ritrovai quel personaggio omaggiato nel prologo de L’isola misteriosa, un superbo albo di Dylan Dog firmato da Sclavi e Ambrosini, fu lì che compresi che della vita avevo capito già tutto e da allora in poi avrei potuto pure fallire tutto il resto e tanto sarei finito in credito. E infatti. A scuola non facevo che raccontare a tutti quell’episodio e quanto fosse struggente e doloroso. E, nel raccontarlo, centellinando ogni riga di dialogo, mi emozionavo anche più che a vederlo. Purtroppo, proprio perché era stato tagliato dalla versione cinematografica e da quella per il noleggio, nessuno mi credeva. Né i compagni di classe, né le maestre, meno che mai i bidelli, forse appena appena il provveditore. Pensavano che il film non l’avessi proprio visto e volessi solo farmi bello. Addirittura la maestra Graziella mi mandò nella classe della maestra di quinta per raccontare di questo episodio, così che tutti mi avrebbero riso addosso, preso di mira con la cerbottana e adeguatamente umiliato tipo Carrie ma senza telecinesi. Poi, non sazia, la maestra mi scrisse sul diario un messaggio da recapitare ai miei, perché voleva parlarci. Era sicura che avessi la meningite, solo per il fatto che mi ero convinto e fissato di aver visto un episodio che in quel film non c’è. E i casi erano due: o i miei mi facevano curare dal professor Cagnato oppure, se si fossero rifiutati, voleva dire che stavo prendendo in giro tutti e in quel caso avrei rischiato la bocciatura. E poco gliene fregava se ero il primo della classe. Un accanimento che, pur adesso che è passato un quarto di secolo, ho digerito, perdonato ma mai capito fino in fondo. Purtroppo la maestra Graziella morì cinque anni dopo, infilandosi nel cranio un coltello elettrico per surgelati a causa della diagnosi di un tumore al seno, che poi si rivelò errata. Come la moglie di Lucio Fulci.


Non vedo l’ora

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Da assidua frequentatrice di queste pagine, a un certo punto di quest’anno per qualche bislacco motivo mi ero fissata con l’idea che il Gori fosse l’uomo della mia vita. Nonostante alcuni indizi (Zagor, un po’ tutta la musica che ascolta, e poi che cazzo è un german game?) m’avessero dovuto mettere subito sul chi va là, si sa come sono le donne: quando si incapricciano di una cosa, ogni dettaglio dell’oggetto d’amore viene deformato, sciolto con l’accendino e riplasmato a piacimento finché tutto ma proprio tutto non diventa forzosamente una conferma alle proprie convinzioni, al di là di ogni possibile umana evidenza. Questo ovviamente finché Crepet, la Littizzetto o l’oroscopo di Branko non apre loro di colpo gli occhi sulla triste, misera realtà dei fatti. Ma tant’è. Io il Gori lo volevo conoscere a tutti i costi, e per tal motivo a fine ottobre decido finalmente di farmi avanti.
La sua reazione mi riempie di entusiasmo. “Bellissimo! Allora ci si vede a Lucca, si passa tutta la giornata assieme, si assiste almeno a 7 conferenze, 4 incontri e 9 tavole rotonde, ti presento sceneggiatori, disegnatori, portantini, pazzi, amici del blog, nemici del blog, sia chiaro: per tutto il giorno si parlerà solo del blog. Portati un trolley e un paio di guanti sterili, che la sera poi la trascorriamo a imbustare tutti i fumetti acquistati durante la giornata. Dimmelo che non vedi l’ora!”. Non vedo l’ora! “Allora ci incontriamo un po’ prima delle 8 a Firenze, è deciso!”, sì, che bello, svalicare l’Appennino per me comporta soltanto alzarsi alle 4, non vedo l’ora! “Durante il viaggio leggiti Sul pianeta perduto, romanzo a fumetti c a p o l a v o r o !”, sono solo 300 pagine di scontatissime derive ecologiste che sembrano sceneggiate dal ministro Brambilla, ma io continuo a non vedere l’ora, ci credo fermamente, è la mia jihad. Arrivo a Firenze.
“Firenze quale? Centrale? No perché io ho cambiato treno, arrivo a Rifredi. E non fra 5 minuti come doveva essere, ma fra un’oretta. Ok, scendi e cambia il treno. Ah senti, mi dicono che s’è rotto il locomotore, aggiungi un’altra mezzora. Già che ci sei, occupa un vagone e tienici i posti. E’ bella l’alba sul binario morto, vero?”. Le avversità temprano la mia fede, come Giobbe. “Lo stai leggendo il romanzo a fumetti?”, Sì ma…, “ok, ti saluto, forse dirottano il treno, ti chiamo fra un po’”, il Signore è il mio pastore, non manco di nulla.
Sembra che un tempo le fanciulle in età da marito mettessero sotto il cuscino delle foglie d’alloro, per vedere in sogno il volto del futuro sposo. Anch’io l’ho fatto eppure c’è qualcosa che non torna, perché nei miei sogni un plantigrado (comunque non grasso, ndGori) in pile e pantaloni cargo che parla come Fanfani non mi sembra sia mai comparso. “Questo pile e questi pantaloni sono la mia divisa, sappilo, come la giacca nera e la camicia rossa per Dylan Dog, come il maglione di Michael Moore”. “Come quello di Marchionne”, azzardo io. “No! Perché Marchionne sotto al maglione porta la camicia, io invece…” e abbassa leggermente la zip a scoprire sterminati campi elisi di soffice pelo baciato dal sole. Nudo sotto al pile, manca solo la Peroni della Caritas. La mia fede non vacilla. “Ti presento un caro amico, LukiSkyWalker. Vi scoccia se io occupo l’ultimo posto a sedere, e voi andate a far conoscenza in quell’interstizio tra le due carrozze e il cesso che è l’unico posto in piedi che è rimasto in tutto il treno?”. Ma no, figurati, anzi è un piacere! Del sodalizio tra condannati che s’è sviluppato tra me e il Luki durante il miglio verde della nostra permanenza a Lucca non parlerò, avendone io già scritto diffusamente in un precedente racconto che il Gori ha pensato bene di censurare: facile costruirsi la reputazione così, eh, Josef? Sappiate solo che il Luki è una bellissima persona, studia a Pisa, odia i bresciani, e durante il viaggio io, lui e la nonna fascista di Garibaldi (storia vera, in pvt eventuali dettagli) ci siamo scambiati le ricette per fare il ragù.
Finalmente Lucca! Con un ritardo mostruoso sulla tabella di marcia, arriviamo in città. Non appena scesi dal treno, smessi i panni colti e naif dell’intellettuale in trasferta, il Gori muta di colpo rivelandosi ai miei occhi per ciò che realmente è, un pazzo fuori controllo, affetto da una forma grave di iperattività che potrebbe essere ADHD come Alzheimer, con la bava alla bocca per la paura di perdersi i primi 2 minuti di presentazione di Suore Ninja, signori avete capito bene, *Suore Ninja* (ero solo curioso perché di fumetti umoristici in Italia non-se-ne-fa-nno-più! ndGori). Increduli e affannati, io e il Luki dobbiamo letteralmente correre per stargli dietro: non trotterellare, non camminare a passo svelto, al suo via dobbiamo realmente accucciarci come i centometristi e scattare, travolgendo donne, anziani e bambini. “Avanti, presto, che regalano il numero zero!!!”, grida folle tra la folla, un Mosè pazzo e febbrile che divide le acque del mar Rosso a gomitate, “Ot-ti-miz-za-re!!!”, scandisce con pericoloso accento tedesco. Non temo nulla, mio Signore, la mia convinzione è ancora alta, quello scricchiolio interiore che sento è probabilmente solo il malleolo che ha ceduto.
Orbene, Suore Ninja. La conferenza stampa per il lancio di questo fumetto è esattamente ciò che mi aspettavo visto il nome, una vaccata talmente tanto totale che ho quasi paura a guardare in faccia il Gori perché io son peggio dei giapponesi, ho la fobia che quando provo un evidente imbarazzo io possa mettere in imbarazzo anche chi mi sta vicino, e l’idea di poter causare nell’altro una qualsiasi sensazione penosa mi getta in un loop di sensi di colpa e disagio tale per cui posso sperare di salvarmi solo tramite il suicidio. Ecco, questo è esattamente lo stato d’animo che la gioiosa, spiritosa, sympaticissima presentazione di Davide La Rosa sta suscitando in me, e sudo freddo se penso all’eventualità che, usciti da lì, il Gori mi possa chiedere un commento a caldo, anche perché di fianco ho il Luki che ride tutto contento e io per la vergogna non so più da che parte guardare. Fortunatamente la tensione che provo si spezza quando il Gori obbliga il Luki, microfono alla mano, a chiedere conto alla casa editrice di tutti i fumetti precedentemente lanciati in passato e poi bruscamente interrotti a metà del percorso, per colpa di non meglio precisate vertenze con gli autori. Che è un po’ come imbottire un bambino di tritolo e mandarlo a farsi esplodere alla festa dell’oratorio: sono contenta per l’oratorio che esplode, meno per la sorte del bambino, ma il Luki mi sembra accettare con molta serenità il suo destino di kamikaze (“queste cose mi aiutano a essere meno timido”, sosterrà più tardi l’infelice), pertanto, in onore al suo gesto, riporto – come si usa con i videomessaggi dei terroristi – il toccante messaggio lasciato ai posteri.
“Buongiorno, posso fare una domanda? Sarò breve, d’altronde neminem laedit qui suo iure utitur. Scusate ma sono un po’ emozionato. Ecco, volevo dire, tutto molto bello, le suore Ninja, questa serie appena partita, che deve ancora vedere la luce, questo progetto coraggioso ma audaces fortuna adiuvat! Sono sicuro che sarà un successo. Tuttavia in passato ci sono stati episodi ahem se vogliamo spiacevoli, vogliamo dirlo? Mi riferisco in particolare a 3 serie che sono state interrotte a metà dal giorno alla notte, nel dettaglio si tratta di (legge dal blocco note che ha sulle gambe), TRAIGGER, KIFIR e… e l’altra, l’altra… scusatemi, memoriam minuitur nisi eam exerceam… (sfoglia gli appunti che gli ha preparato il Gori) e, sì, scusate l’altra è… NIMROD. Ecco, ora, naturalmente non sarà il destino di questa serie sulle suore che parte invece sotto un’ottima stella, però, ecco ci si chiede – legittimamente – che garanzie può avere un lettore, che comunque fa un investimento quando compra i vostri fumetti, non è che se lo vedrà attergare anche stavolta? Essere lasciato vogliamo dirlo, in braghe di tela, ecco, non è piacevole, al punto che il lettore medio a un certo punto potrebbe anche giustamente pensare Quo usque tandem StarComics abutere patientia nostra? Grazie per l’attenzione”.
Il gelo cala compatto su tutta la sala, il sorrisetto nervoso di La Rosa si trasforma in un ghigno, e in questo più consono freddo cimiteriale posso finalmente tirare un sospiro di sollievo. Ok, ok, ho capito l’antifona, il Gori è un pazzo isterico e codardo che non ha il coraggio di porre queste domande in prima persona e usa il Luki come scudo umano, ma questo forse lo rende meno degno d’amore? Non lo so, sono piena di dubbi come Gesù nel deserto, ma purtroppo non c’è tempo per riflettere. Bisogna correre più veloci di Bolt per andare a fare il biglietto d’ingresso ai padiglioni (“Oppure io e il Luki facciamo il biglietto, te non lo fai e ci aspetti fuori o da qualche parte o in stazione o te ne vai direttamente”, propone cavallerescamente Alessandro) anche perché alle 13 abbiamo un altro tassativo appuntamento per la presentazione di Mytico, il fumetto sui miti greci in edicola col Corriere (dove anche qui il Gori, nell’ombra e non visto come un coccodrillo a pelo d’acqua, aizza il Luki affinché monti un’assurda polemica sul fatto che la serie sia sui miti greci e non sui miti nordici, e non è contento finché in tutta la sala il significato sotteso a tale domanda non sia evidente anche ai più distratti: Odino e Sigfrido sono ok, Achille e Patroclo sono due froci, e comunque arrivate millenni dopo Pollon, falliti). Mi massaggio i polpacci provati dallo sforzo e mi chiedo confusamente se la giornata proseguirà così: una corsa via l’altra a ridicolizzare l’atmosfera di tutti gli incontri in programma, mandando avanti il Luki come un negro in prima linea nel fottuto Vietnam. Luki, ma con te fa sempre così? Ribellati! Mi volto e non li vedo più. Dato che gli autori al termine dell’incontro hanno deciso di regalare le copie di tutti gli albi, come i peggiori imbucati alle feste i miei due eroi sono corsi ad assaltare il buffet, sul serio, una scena pietosa guardarli fare incetta di quel fumetto che entrambi bistrattavano fino a pochi minuti prima, ma quando una roba è gratis va bene anche se non ci sono i Nibelunghi, eh, a morti de fame (silenzio che te li sei raccattati tutti e 15 pure te, ndGori). A proposito di fame… Io l’ultima colazione l’ho fatta alle 5 a Bologna, sono le 14 passate e sto quasi per svenire. Timidamente mi avvicino al Luki che si sta facendo autografare uno per uno tutti e 15 i numeri barbaramente arraffati, e provo a buttar là con nonchalance: “Senti, Luki, tu che il Gori lo conosci meglio di me, sai se per caso a un certo punto della giornata, anche di fretta, scomodamente e con un divorante senso di colpa, riusciremo a metter qualcosa sotto i denti?”. Il Luki non mi presta molta attenzione perché si è appena accorto che di tutti i numeri accattati di straforo gli manca il n. 12 ed è disperato, e quando uno degli autori gli comunica che i numeri mancanti sono in vendita nei padiglioni pianta una polemica infinita per cui non è giusto che qui li date gratis e là li fate pagare (nota bene: prezzo del prezioso volume, euro 1,99), perché io sono un povero studente fuorisede con nonna a carico, e non è che mi posso portare a casa una serie monca perché già alla StarComics l’ho detto che non si fa così, e comunque secondo me in quella borsa tu c’hai dei doppioni, apri un po’! Il ragazzo del Corriere maledice a denti stretti il giorno della sua venuta al mondo, ma in qualche modo riesce a recuperare il n. 12 e fa contento il Luki. “Grande, ce li avete tutti!” esulto con falsissimo entusiasmo, “Adesso vigliacchiddio si va a mangiare?!”. La risposta laconica del Luki spegne del tutto le mie speranze: “Conoscendo il Gori, non credo”.

E qui, proprio come Gesù nel deserto, il digiuno e la stanchezza cominciano lentamente a erodere le mie convinzioni. I peggiori panini con la porchetta di colpo assurgono a irresistibili tentazioni demoniache, gli hot dog mi chiamano con canti di sirena, e temo che per una coca e un cheeseburger in questo momento darei tranquillamente il culo, ma con gioia, nel Cristo. E poi c’è questo grosso problema di fondo, che a me di andare a cercare Spartaco Albertarelli per le spiegazioni su come si dispongono le tessere e le pedine in quel particolare gioco da tavolo da cui sembra che dipendano le sorti del mondo NON ME NE FREGA UN BENEAMATO CAZZO. Ecco, l’ho detto. Il Gori mi guarda perplesso, interdetto, deluso: “Ma come, mi stai dicendo che tu, in questo momento, sei la classica tipa che tra avere a disposizione in anteprima il nuovo album dei Baustelle che esce a gennaio, e una bistecca di chianina alta 3 cm, con contorno di patate, e un fiasco di rosso, sceglierebbe la seconda???”. Gori, vaffanculo, vaffanculo mille volte, te, i Baustelle, le suore ninja, i romanzi a fumetti, io in questo momento tra una bistecca di chianina e la vita del Luki e di quella dei suoi famigliari e soprattutto, soprattutto, quella della sua nonna, fai te cosa sceglierei! Fai te!
Cerco di dominarmi, traggo un profondo respiro e, per provare in extremis a salvare il salvabile, propongo un ultimo tragico compromesso: il Gori andrà a cercare Spartaco, io e il Luki ci mangeremo un sozzo panino per strada, e poi alle 16.30 ci ritroveremo tutti e 3 all’incontro su Martin Mystere a Palazzo Ducale. E’ un accordo win-win, Gori, e in via stragiudiziale non puoi pensare di ottenere di meglio, se ti opponi dovrai vedertela con i miei avvocati. Ovviamente il Luki sta con me e tu potrai vederlo solo in mia presenza: per gli alimenti ci mettiamo d’accordo non appena ho capito di cosa si nutre. Il Gori accetta di buon grado la separazione consensuale, e si smaterializza tra i padiglioni. E’ il tragico, sofferto epilogo di tutte le storie d’amore. Sono amareggiata, tristissima. Il Luki si getta trionfante sul suo enorme panino di sugna e tra un boccone e l’altro attacca a parlarmi di Breaking Bad, ma la sua voce mi arriva lontana, remota, persa nello spazio siderale (qui c’andava il punto, e va beh ce lo metto io, ndGori).
Martin Mystere, sono quasi le 17, luci soffuse, basso profilo, età avanzata dei relatori e del pubblico, stanchezza della giornata nelle ossa e nell’anima. Il Gori dorme emettendo un rumore lieve di tornio in funzione. A me sono cadute definitivamente le fette di prosciutto dolce di Parma che avevo sugli occhi, e lo vedo finalmente per come è: un barbone avvolto nel pile, narcolettico, che si esalta per le peggio stronzate noncurante della vita vera, inaffidabile, prepotente, maniacale, con dei gusti di merda su tutto (comunque non grasso, ndGori). Come ogni donna che si rende conto di aver sbagliato tutto nella vita, non me la prendo con me stessa ma con lui. E’ lui che è fallato, che diamine! Io sono ancora giovane e piacente, ho 32 anni, posso rifarmi una vita. Da qualche parte nel mondo ci sarà pure un onesto bancario con la passione per il Milan e i go-kart che mi prenderà sotto le sue rassicuranti ascelle deodorate e mi vorrà bene, qualcuno con cui prenotare i viaggi sul catalogo del Lidl e fare le vacanze con l’ombrellone in terza fila, la villetta bifamiliare, il prato da rasare la domenica, i figli pettinati a caschetto, il calcetto, il burraco, la burrata, la suocera, i parenti, la casa in montagna, la casa al mare, la MESSA DI NATALE, GLI AMICI DELLO STADIO, LA POLITICA, L’ATTUALITA’, I GRILLINI, L’IMU, LE TASSE DELL’ASILO MENTRE AI ROM GLI DANNO ANCHE LA CASA TI SEMBRA GIUSTO, BELLO SCANDALO, BEL PRESEPE, BELLE SOTTOCOPPE DI PELTRO PORCO DI QUEL DIO CRISTO AFFOGATO IN UN SILOS DI MERDAAAHAHGHDJJKUYGHKGKHJBVBBJKAJDHA@#!§. Il Luki in mezzo a noi segue assorto la conferenza, ignaro del dramma che si sta consumando ai suoi due lati. Basta, ho deciso, come si usava una volta, come nelle vignette della Settimana Enigmistica: mollo tutto e scappo col salumiere!
Il rientro in stazione è mesto, arido, greve. Non abbiamo più niente da dirci, pur di non essere costretti a fare conversazione rivolgiamo tutte le nostre attenzioni al Luki, il Gori gli torce perfino un orecchio così, per infantile crudeltà: me lo annoto per quando saremo in tribunale. La notte è calata di colpo, ho freddo, e non vedo l’ora di rientrare. Sul treno che mi porta a Prato, da cui poi ho la coincidenza per casa, Gori forse angosciato dal mio silenzio doloroso e carico di spregio, cerca disperatamente di recuperare due punticini nella più classica e puerile delle maniere: per confronto con chi sta peggio. Ecco dunque il patetico e insistito spalare merda per tutto il tempo del viaggio sul povero (Caramelle non lèggere, ndGori) Caramelleamare, su quanti problemi abbia quel ragazzo, su che vita disperata conduca, arrivando perfino rispolverare repellenti episodi di vent’anni prima senza tralasciare, anzi indugiando, sui dettagli fisici più morbosi. A parte che su Caramelle comunque non avevo dubbi, come puoi credere che il raccontarmi di quella volta che pisciò dalla finestra della classe davanti al prof. possa in qualche modo elevare l’opinione che mi sono fatta finora di te? E quell’episodio col bambino e il plumcake? E quel discorso confuso sulla sua zoofilia? Il fatto che ti accompagni a un simile personaggio, anzi, non fa che confermare ciò che penso purtroppo di te. Guardo scorrere le stazioni dal finestrino, manca poco… Lucca, Altopascio (4000), Pescia, Montecatini, Pistoia, Prato Porta al Serraglio, magari scendo qui e me la faccio a piedi.
“Poi ci rivediamo eh? Non è che questo rimane un episodio isolato? Per esempio a Natale, ci si trova a casa mia, si gioca tutti a Mercante in Fiera…”
Non vedo l’ora. Magari ci sentiamo.
Ciao, eh.

Circobazooko


Battaglie da condividere

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LA RAGAZZA CHE CHIAMI GRASSA PASSA GIORNI SENZA MANGIARE FRUTTI TROPICALI X PERDER PESO. IL RAGAZZO CHE CHIAMI IGNORANTE MAGARI HA PROBLEMI DI APPRENDIMENTO E UNA MOTOSLITTA TUTTA PER SE’. LA RAGAZZA CHE HAI APPENA CHIAMATO BRUTTA, PASSA ORE X FARSI ACCETTARE DA PERSONE COME TE E TEDESCHI CORRADO. IL RAGAZZO CHE PROVOCHI E PRENDI IN GIRO FORSE SUBISCE MALTRATTAMENTI IN CASA POUND E TU STAI CONTRIBUENDO A DISTRUGGERE LA SUA AUTOSTIMA IN CASA POUND. STIAMO ATTENTI A QUELLO KE DICIAMO E SOPRATTUTTO A KI LO DICIAMO MA SOPRATTUTTO A QUELLO KE DICIAMO! L’1% ANCHE MENO NON CONDIVIDERA’ QST MESSAGGIO NELLA SUA BACHECA, I ALTRI SI!

PERCHE’ COMPLICARSI LA VITA? TI MANCA UNA PERSONA? FALLA. VUOI VEDERE UNA PERSONA? SPOSTANE. VUOI CHE LE PERSONE TI COMPRENDANO? DRUIDI! HAI DELLE DOMANDE? SCURAVI.
C’E’ QUALCOSA CHE NON TI PIACE? CONBIPEL. VUOI QUALCOSA? I CENTO CISTERCENSI D’ORO. AMI QUALCUNO? I CENTO CISTERCENSI D’ORO: LA SFIDA. NESSUNO SAPRA’ MAI COSA TI PASSA PER LA MENTE. E’ MEGLIO ESPRIMERLO PIUTTOSTO CHE LA MACCHINETTA CON LE CIALDE. HAI GIA’ DETTO TROPPI “NO” NELLA VITA, ORA PRENDITI IL RISCHIO DI UN “AGENORE STANNO ARRIVANDO I GONDOLIERI”. NOI ABBIAMO QUESTA VITA, RENDIAMOLA SEMPLICEMENTE I GONDOLIERI GEOMETRA BARILLARI! SEMPLICEMENTE I FOLKLORISTICI GONDOLIERI!

Da bambino non avevo la Wii, la 3DO e nemmeno la SLA. Giocavo a nascondino da solo, tornavo a casa quando faceva buio e quando era ora di cena la mamma gridava dalla finestra “la mamma gridava dalla finestra!!!”, invece di chiamarmi al cellulare dei carabinieri. Giocavo con i miei amici invece di chattare coi carabinieri, non c’era il gel fissante per le mani e giocavamo con la terrazza. Mi sporcavo di terrazza un giorno sì e l’altro pure e non c’era il detersivo che toglieva la macchina al primo colpo dal garage. Non scrivevo SMS per chiedere se usciva “il mio amico” in edicola, ma andavo a suonare direttamente coi Matia Bazar. Io che almeno una volta ho bevuto acqua Velva della fontana e sono sopravvissuto alla strage di Piazza Fontana. La vecchia generazione condivida per ricordare, è un pezzo della nostra vita ed era UN PICCOLISSIMO DRUIDO SAPETE?

VISTO?! CHE AI DISABILI SONO STATI DIMEZZATI I FONDI A LORO DISPOSIZIONE!!! MENTRE… I… NOSTRI… CARI!!! POLITICI NON SI TOLGONO: UN – FOTTUTO CENTESIMO! – DAL LORO “MISERO”. STIPENDIO? PER NON MANDARE L’ITALIA “A” PUTTANE?! VORREI CHE LA GENTE CAPISSE CHE: ♪ ♫ ♪ ♫ I BAMBINI DISABILI NON HANNO UNA MALATTIA?! LA DISABILITÀ E’ UNA CONDIZIONE?! ♪ ♫ ♪ ♫ ESSI NON CERCANO CURE, MA ACCETTAZIONE E NEMMENO PIETÀ?! SOLO RISPETTO?! ♪ ♫ ♪ ♫ IL 93% DI PERSONE NON!!! COPIERÀ!!! E!!! INCOLLERÀ!!! QUESTO NELLA SUA BACHECA!!! FARAI PARTE DEL 7% CHE LO FARÀ!!! E LO LASCERÀ ALMENO UN GIORNO!!! FALLO: IN FAVORE DI TUTTI I “BAMBINI” CON DISABILITÀ: IO L’HO FATTO: E NON INTENDO CANCELLARLO?

AVVISO IMPORTANTE! IN INVERNO NON DATE DA MANGIARE PANE E BRICIOLE AGLI UCCELLINI! Il pane e gli altri prodotti da forno una volta nel gozzo di Paolo Uccello richiamano acqua per essere inumiditi e digeriti. Si forma così un blocco di “pane bagnato” che a sua volta richiama calore per raggiungere la temperatura corporea, e con le basse temperature Paolo Uccello finisce per morire di freddo senza completare l’affresco, perché non riesce a scaldare il corpo e il pane freddo e umido nella stufa del vicario. Se volete aiutarlo fornitegli semi interi che non richiamano acqua nel gozzo! I semi li vendono nei negozi di mangimi e anche alla Coop e anche alla Banca Fideuram di Vibo Valentia & figli. GRAZIE!


Il titolo non mi viene

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Vespa_ad

Fin da ragazzo ho sempre avuto le idee chiare sulla vita. Superato l’esame di maturità mi trovai davanti alla fatidica scelta su cosa fare della mia esistenza: l’università o sistemare la vespa. Io volevo occuparmi del mezzo, ma a causa di alcuni sciroppi avariati mi iscrissi a psicologia.
Oggi mi fregio d’essere un affermato psicologo, ho un mio studio ben avviato e con i risparmi di una vita ho potuto finalmente realizzare il sogno di sistemare la vespa. La vespa, va da sé, la si può accomodare solamente col sistema “fai da te”, altrimenti tanto vale che ti prendevi uno scooter. Internet è la Mecca per ogni meccanico improvvisato ed è lì che mi sono rifugiato per settimane documentandomi su tutto il repertorio. Dopo notti insonni di ricerche e domande ai più esperti del settore, stilai un appunto col necessario: 250 euro per i pezzi di ricambio, 180 euro per la verniciatura, due settimane di lavoro circa (quelli bravi fanno in due giorni). Dopo due mesi e mezzo di lavoro il più è stato fatto, il motore è pronto, la vespa è verniciata e mancano solo pochi particolari. Quello in questione è il collettore che collega il cilindro al carburatore. E’ un’operazione molto facile da eseguire, probabilmente uno dei pezzi che danno meno problemi in assoluto e stando a quello che dicono nel forum un lavoretto da venti minuti.
Sveglia alle 9, un quarto d’ora per ritrovare il collettore che ho smontato due mesi prima e non so dov’è. E stop. Lavoro interrotto perché sono spariti i bulloni che lo inchiodano alla testa. Vai in ferramenta, prendi i due bulloni nuovi e torni su. In alternativa puoi andare al centro Piaggio più vicino e pagarli cinque volte tanto. I giorni prima da bravo neofita ti sei documentato nel forum di riferimento e “…a questo punto montate il collettore con le sue viti, sono solo due”. Perfetto, lo sa fare chiunque. Però ho un dubbio, è meglio metterlo prima o dopo aver montato il motore sulla vespa? Aspetto una giornata perché qualcuno ti risponda nel forum? No, provi a ragionarci sopra e speri sulla somma della qualità del tuo ragionamento più il 50% di possibilità. Ingenuo! Quando si lavora alla vespa la possibilità che una cosa vada per il verso giusto è del 50% nel caso in cui nei forum ti dicano che sta al 98%. E’ un concetto matematicamente difficile da spiegare, ma nei fatti è così, fidatevi. Comunque ci provi e pensi: “allora se lo metto prima ho il vantaggio di lavorare comodo, ma se poi desse noia per mettere il motore in posizione!?” I due mesi di lavoro precedente ti hanno insegnato che la soluzione più semplice è sempre quella sbagliata, quindi mi preparo a lavorare scomodo e montare il collettore dopo aver fissato il motore alla vespa. Ah dimenticavo, sul collettore ci va il cipollotto di gomma di protezione. Niente di più semplice, basta infilarlo nel cono del collettore e farlo scorrere fino alla posizione giusta. Ma da che verso si mette? Se è la prima vola non lo sai, guardi i labbri del cipollotto e cerchi di capire quale dei due dovrebbe incastrarsi col telaio, fai la tua scelta. Lo infili …no, ci provi, il cipollotto non scorre, lo devi togliere, ingrassare, ungere o sputarci su e rimetterlo. Calza alla perfezione. Sono passati circa 50 minuti. Ora fisso il motore al telaio. Aspetta: con la vespa in piedi o sdraiata? Sdraiata si lavora meglio, ma se poi esce olio dallo sfiato o dal paraolio del tamburo che ancora devo montare? Ah, andava montato prima, ma io credevo che… è la prima volta. Fai la solita scelta, lavorare scomodo sarà sicuramente la soluzione migliore. Dopotutto basta tenere la vespa sollevata dietro. Ma con cosa? Qualsiasi cosa mettiate sotto alla scocca nel posteriore la renderà instabile, e l’avete appena verniciata. Allora lo spingo più dentro. Anzi no, perché poi non c’è spazio per fare entrare il motore. Boh, in qualche modo farò. Montare il motore è semplicissimo perché c’è un solo bullone che lo attraversa tutto e lo fissa al telaio: è un attimo! C’è solo da tenere a mente il fatto che il motore della vespa è stato progettato da Escher e comunque tu lo appoggi lui si sposta, non ha una sola posizione in cui stia fermo, è una specie di moto perpetuo e non c’è nessun oggetto fra quelli di un normale hobbista che sia in grado di fare da piedistallo. Allora con una mano lo tieni in posizione, pesa circa trenta chilogrammi, con l’altra cerchi di farlo entrare nel vano motore. Niente, il sostegno della vespa è troppo all’interno, va spostato. Allora togli il motore da quel poco che eri riuscito ad inserirlo, il panno che copre il foro per la candela si impiglia nel nottolino di gomma che tiene lo sportellino della poccia, la vespa oscilla e cerchi di fermarla. A questo punto ti trovi a tenere il motore con una sola mano, che ovviamente non sarà nel punto giusto per fermarlo e il motore rotola dal banco. Non puoi lasciarlo cadere rischi di fare dei danni enormi. Fai quello che puoi per salvare vespa e motore: con la gamba e una mano proteggi la caduta del motore, con l’altra mano quella della vespa. Il motore scivola fra gamba e banco di lavoro e prima di farlo cadere decidi di sacrificare il piede, e lo sacrifichi. Intanto la vespa non è caduta ma ha inevitabilmente battuto contro uno degli oggetti che avevi sul banco di lavoro, l’unico appuntito è chiaro, che fa saltare un pezzettino di verniciatura piccolo piccolo. Fa niente. Raccogli il motore, esulti dentro perché è sano e attendi il dolore al piede. Dopo tre minuti arriva. A questo punto è quasi ora di cena, entri in casa e stai mezz’ora sdraiato con del ghiaccio sul piede che si sta gonfiando. Telefoni al medico, ti fai fare la richiesta per i raggi, paghi 38 euro di ticket e fai la lastra. Di solito del piede ti dicono che “non è rotto, si è scheggiato un ossicino piccolo piccolo qua, come è successo?” “No niente, sono intervenuto per salvare una bambina da un gruppo di babbi natale che volevano violentarla fuori dall’Esselunga, erano armati con catene e coltelli e l’ultimo che ho steso nel cadere a terra mi ha schiacciato il piede col campanaccio che aveva al collo.” Con l’ossicino stegliato vai a letto e pensi che sia stata una pessima idea quella di impegnarti in questo restauro. Eh ma vuoi mettere la soddisfazione del fai da te?! Si, la voglio mettere nel cesso. Se la portavo al meccanico dopo quattro giorni me la riconsegnava nuova.
La mattina dopo torni al lavoro. Finalmente il motore va al suo posto e te la cavi con un paio di graffi alle mani. Ci puoi stare. A questo punto monti finalmente il collettore, ma ti accorgi che avevi fatto la scelta sbagliata perché quelle due viti sono davvero difficili da inserire a motore su, ma va beh, con un pò di pazienza ce la fai. Sì, ma quali rondelle ci vanno sotto i bulloni, le grower o quelle tagliate? Ragioni, scegli, avviti. Ops, il cipollotto è molto distante dal telaio, perché mai? Ah, perché il motore è ancora giù, quando metti la ruota sale e lo porta in posizione. Metti la ruota, alzi la vespa e… per un pelo, mancano un paio di centimetri! Soluzione? Dopo aver provato inutilmente a fare scorrere il cipollotto in sede, togli nuovamente il collettore svitando i complicati ma simpatici bulloni. Aggiungi un taglietto alla mano per spostare il cipollotto di que due centimetri in avanti e ci sei. Eh ma adesso il cono di gomma monta sopra al bicchierre attorno al quale va la fascetta di ferro che tiene il carburatore fermo sul collettore. Suggerimento del forum: lo devi tagliare col cutter. Ma come?! Fanno dei pezzi nuovi direttamente sbagliati nelle misure!?! Non potevano farlo preciso!? Il mondo delle vespe è così. Averlo saputo lo tagliavo prima, ma è la prima volta… pausa pranzo. Nella tarda serata del giorno seguente riesci in quello che ti eri ripromesso di fare tre giorni prima e ancora in salute. Il collettore è montato!
Dopo altre settimane nelle quali gli inconvenienti si moltiplicano porti a termine quelle operazioni per le quali si prevedono un paio di ore di lavoro non di più. Vai in strada e provi a metterla in moto. Il primo calcio va male perché per il dolore al dito del piede non fai la giusta pressione e la scarpa scivola. La pedivella di avviamento ti incide nella zona tallone-polpaccio un graffito tremendo. Fai finta di niente ma in quel momento la soddisfazione di prendere la tua vespa nuova a mazzolate fin che hai forza è seconda solo a quella di vedere l’effetto che farebbe in un tritarifiuti industriale. Poi al primo calcio ben assestato va in moto …“cazzo che spettacolo la mia vespina!! altro che quei falliti con lo scooter!”

Resoconto finale:

Ricambi effettivi perché quando ci sei dentro …ormai che l’hai aperto …850 euro.
Verniciatura: 350 euro.
Di attrezzi per fortuna non ne servono, per la vespa bastano appena un paio di chiavi che tutti abbiamo. Più l’estrattore volano, estrattore frizione, attrezzo compressione frizione, chiave a cricchetto, dadi e rondelle che perdi, molle, grasso, saldatrice per togliere i cuscinetti, scalpellino, cacciaspine, trapano, martello di gomma, anelli seeger, pinze per anelli a stringere, pinze per anelli ad allargare, una crociera vecchia, smerigliatrice, morsetti, morsa da banco, chiave dinamometrica perché mica vorrai fare le cose a casaccio eh, svitol, bloccafiletti, pasta rossa.
Tempo: più di tre mesi.

Caramelleamare


A tutti voi falliti di merda

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Falliti.

Lombrichi senza un conato di personalità, è a voi che mi rivolgo.
Voi che da tempo immemore spulciate queste pagine no-profit e incamerate senza risparmio i miei sofferti gorghi di incontenibile surrealismo dadaista. So che lo fate per i più svariati motivi, come per esempio stordire il figame, ben sapendo che, oggi come oggi, anche la semplice pronuncia della parola “gunterbrodolini” apre un mondo di umettate possibilità insospettabili fino al momento prima.
Teneri, morbosi e unticci emulatori, voi che con mirabile sprezzo del ridicolo provate a fare me, tanto su Facebook che nei pub della nostra bella Italia, equivocando puntualmente il mio stile e pensando – pore stelle – che basti fare un minestrone di Aldo Moro, cancro e Polinesia per essere il Gori. E allora le felpe in pile e i cappellini da baseball che li vendono a fare?
Gentucola inseribile nella categoria “blogger senza talento che hanno scritto un libro col titolo buffo” che passate di qua a sentirvi superiori, solo per il fatto che siete usciti per le Edizioni Motoscafo e avete fatto i soldi mentre quell’aretino bravo e disoccupato si fa le seghe nella sua bettola coi genitori che picchiano all’impazzata alla porta di camera sua urlando fra le lacrime “BOLVO! BOLVO!”.
Pavide, timide ed evitanti viole mammole, che avete simulato empatia, amicizia e ampio parcheggio all’ingresso, salvo poi ghignarvela alle mie spalle per ogni casino accaduto qua dentro, senza mai difendermi contro gli storici nemici dello Sgargabonzi, quelli che ne minarono la sopravvivenza e che ho sconfitto contando unicamente sulle mie forze (fra i tanti: gli amministratori di Leonardo, Guido Prussia, l’infame casalinga disperata Elena e la pericolosa Settima Bibitara, poi diventata preziosa sodale come Sergej Orloff per Martin Mystere).
Sedicenti groupie ma in realtà puttane di merda di quella Milano bene insita in qualsiasi paesino che avete avuto il coraggio di chiedere a me, cartesiano puro, un’erezione.
Ex Ministro senza portafoglio Gianfranco Rotondi che so che mi leggi perché c’ho le login trasparenti, pupazzo.
Drogati, rottinculo e pusillanimi.
E semplici, sobri lettori, che siete quelli che mi fanno più schifo di tutti. E non crediate nemmeno per un attimo che ci sia della sincerità nella mia pelosa gentilezza ogni qual volta vi rispondo, perché vi ho sempre trovato ridicoli, patetici e ripugnanti. E non chiedetemi privatamente “ma come? anche io?”, perché la risposta a porte chiuse sarà per tutti “ovviamente non mi riferivo te!”, salvo che poi mi riferivo eccome. E se voi mi citerete il qui presente sincero outing, me le inventerò di tutte per convincervi che pure questo è uno scherzo. E, come ogni volta, ci riuscirò. Si chiama carisma.

Bene signori, è arrivato il momento in cui possiate appianare il debito emotivo ed esistenziale maturato nei miei confronti e anzi, farmi addirittura sentire un verme.

E’ Natale e tutto il mondo conosce la mia passione per i giochi da tavolo. Sono loro il fertilizzante della mia creatività, di quell’estro selvaggio che su queste pagine v’ha risolto più d’una serata e non dite di no.

Ergo, qualora vogliate finanziare lo Sgargabonzi, è qui possibile acquistare sul negozio di giochi da tavolo Egyp dei classici, incantevoli buoni-regalo. Anche da 5 o 10 euro.

E’ tutto spiegato qui: http://www.egyp.it/content/17-buoni-regalo-egyp

Poi, in caso, comunicatemi la cosa scrivendomi a spumabionda@gmail.com

Per caso gli stronzetti non hanno voglia di registrarsi al sito?

Una bella ricarica sulla Carta Postepay 4023 6006 3213 0581 intestata ad Alessandro Gori e passa la paura. Serve anche il codice fiscale? Pronti! GROLSN78H14A390S

Beh, che ne dite? Io trovo che sarebbe un sonoro schiaffo morale, una bella lezione per un cretino come me che non penso dimenticherei tanto facilmente.

Ovviamente, oltre alle mie scuse pubbliche, ognuno avrà una poesia dedicata e un file audio in cui faccio le imitazioni dei presentatori.

Mammamia quanta dignità in un solo post.


Strategosutra

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Nel periodo precedente l’arrivo di Chicca in quel di Castiglione, stava prendendo piede, nelle serate a casa Gori, l’usanza del gioco da tavolo, che di li a poco sarebbe diventata la sua nuova ossessione e ragione di vita. Prevedendo che nonostante la mia formidabile verve e la mia loquacità sarebbe servito ben altro per sfangare le serate con l’incontentabile Chicca, il mio amico Alessandrino Gori si era portato dietro la sua bella valigetta ventiquattrore piena di giochi, con all’interno un beauty-case con i prodotti per pulire i tavoli dove appoggiare i giochi, dei guanti sterili ed un ectoplasmometro. E’ convinto infatti che i fantasmi ungano l’aria. Ed ecco che così nel tentativo di aiutare Chicca a rimandare il suo ineluttabile destino di casalinga organizzammo alcune serate a tema: partite a Stratego precedute dalla preparazione del tavolo per la partita a Stratego. Fin dal primo scontro su quella plancia accadde l’imponderabile e se fino a quel momento la nostra era solo una piacevole convivenza, da quel momento scattò la scintilla.  Più che partite a Stratego, le nostre sfide erano dei veri e propri rapporti sessuali completi con il Gori come terzo contemplativo. Già nella disposizione delle pedine s’intuiva il tatticismo più esasperato e non lasciavamo nulla al caso, disponendole nei modi più fantasiosi e cercando di intuire le intenzioni dell’altro e già questo scambio di sguardi continuo era come una droga. Arrivammo a scontrarci sul tavolo di gioco per ore e, non per vantarmene, ma anche più volte nello stesso giorno. Non potevamo farne a  meno. Qualsiasi fossero le nostre tattiche ne uscivano dei match equilibratissimi ed intensi. Alla fine eravamo sempre provati ma allo stesso tempo eccitati dall’incontro ed aspettavamo solo che arrivasse il momento per il successivo. Il Gori dal canto suo non si perdeva una mossa e faceva foto su foto per documentare tutto. Al contrario di quello che succede quando non c’è una vera intesa nelle coppie, ogni partita era un susseguirsi di ribaltamenti di ruolo e sorprese dietro l’angolo. A volte dominava lei e io le lasciavo il controllo della situazione finché d’un tratto, con uno spostamento imprevedibile, sovvertivo le posizioni costringendola a lasciarmi il comando dell’operazione. Per una come lei era difficile da accettare, perché come tutte le persone insicure si era abituata a vivere i rapporti da un piedistallo e non come scambio alla pari, ma allo stesso tempo scopriva in quelle serate anche il piacere perverso della sottomissione, della quale modestamente sono un maestro. Invece di ritirarsi o di far evaporare quell’atmosfera intrisa di ormoni che ci legava al tavolo per ore come se il mondo fuori non esistesse più, lottava e aspettava il momento buono per riprendersi il potere di cui si ciba quotidianamente, trattenendo a stento fiele e eccitazione. Ebbi la sensibilità di premiare questa sua sorprendente capacità camaleontica lasciandogli la vittoria delle nostre tre prime sfide. Conosco bene lo sport e la psiche umana e so che uno sforzo non premiato da successo porta ad un immediato e, soprattutto per il compagno di giochi, frustrante calo d’interesse. Il godimento di quelle vittorie le dette i giusti stimoli per approfondire i nostri rapporti. E le partite, che quando sono delle semplici partite a Stratego fra amici non si svolgono mai prima di cena, si moltiplicarono per numero e intensità. Giocavamo a qualsiasi ora del giorno e della notte e, senza che ce ne accorgessimo e persi in una vorticosa orgia militare, giungemmo all’ultima sera della sua vacanza. A quel punto la sfida delle sfide, l’incontro-scontro finale, l’amplesso totale su plancia, fu inevitabile. Iniziò come una delle altre partite, lei si muoveva sinuosamente fra le mie truppe e io non riuscivo a contenerla. Anticipava ogni mio movimento e serrava bene le fila quando cercavo una sortita a sorpresa. Ma non poteva finire così, con la meno equilibrata delle sfide, quindi con calma mi riorganizzai. C’era una sola possibilità: lasciargli pensare ad una mia disfatta fin che non avesse abbassato le difese e, solo allora, saltarle addosso e vincere ogni sua resistenza. Lei e il Gori continuavano a chiedersi perché non m’arrendessi, il Gori mi dava ripetutamente del cretino per ingraziarsi la Chicca nella speranza di ottenere dei giochi da tavolo bonus, ero spacciato e ai loro occhi la partita si era ridotta ad un massacro, ma qualcosa mi diceva che potevo farcela perché c’era da qualche parte la chiave per girare il match. Dovevo solo resistere abbastanza per avere tempo di trovarla. Ridevano di me gli stronzi, ma ero sicuro di quel che facevo. Ad un tratto, con un rapido movimento degli occhi, mi accorsi furtivamente che lei aveva perso di vista una mia pedina. Era un mediocre tenentino sì, di quelli che non danno nell’occhio, ma con una particolarità: il doppio passo. Perfetto! Intuii subito che quella era la mia occasione. Dopo tre ore di un incontro in cui ero stato piacevolmente dominato e sottomesso da lei, che aveva fatto di me quel che voleva, esco dal torpore ed assesto il più classico dei colpi di coda. Lei sulle prime rimane con un’espressione incredula, poi abbozza una risatina nervosa per farmi credere che dopotutto mi sta ancora dominando e che non è cambiato niente, solo un mio tentativo simpatico e disperato, quasi da commedia slapstick. Non è così, e lo sa bene. Improvvisamente lo scenario è cambiato, chi lo avrebbe mai detto?! Adesso sono io in pieno controllo e ancora di prima di portare in parità il numero delle mie truppe, la metto sotto. Lei senza lo scettro del comando va in confusione e commette alcuni errori fatali che la consegnano definitivamente nelle mie mani. Io, eccitatissimo, ne approfitto ed affondo il colpo finale lasciandola senza fiato. Leggo nel suo sguardo che forse era proprio quello che voleva, magari senza saperlo. Così, dopo più di quattro ore di una umida battaglia corpo a corpo non rimane che abbandonarsi al più rilassante dei sonni, mentre il Gori passerà la notte nel tentativo di riporre il gioco utilizzando due phon accesi per sollevare le pedine e guidarle dalla plancia alla scatola senza toccarle. La mattina seguente io e il Gori la accompagniamo alla stazione dove prenderà il treno per tornare a casa. Al momento di salutarsi orgogliosa, dignitosa ma con negli occhi ancora la scintilla dei nostri incontri, mi saluta sillabando calda in un sussurro poche ma precise parole che non dimenticherò mai: “Però sei un pezzo di merda”. Quindi si sistemò il sombrero, sputò un nocciolo e se ne andò.

Caramelleamare



Vomito

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VOMITO

dal buio nello stomaco
l’esplosione d’un mondo nuovo
fatto di carne in scatola e sogni
sorrisi tagliati a fettine
stelline a galla nel brodo primordiale
cartilagini che erano cartoline
carne macinata da un ventilatore a luglio
ghiandole, ossa, spugne per stoviglie
fondi di caffè successi un mattino
successi male
sassi, murene e conchiglie
pomodori ripieni di coriandoli rosa
alkaselzer a dissolvere cuori
reflussi gastrici di acque marine
una busta di plastica per velo da sposa
poi il vento la sera
fra i capelli di rovi e di spine


Nella tana del Gori: 4 tutorial

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MeeplesChoice.7.7.06

Tempo fa il Gori mi raccontava di un certo alkyla, idolo e feticcio assoluto di Caramelleamare, che su youtube recensisce i giochi di società condendo i video con simpaticissimi sketch in cui lui è protagonista: spassosissime parodie ed esilaranti gag le quali fanno tuttavia solo da cornice a disamine tecniche che si mantengono sempre estremamente lucide e ben dettagliate. Reduce da ben 4 partite col Gori e il mio compagno, tutte a giochi di società diversi, e volendo rendervi partecipe di tale mia discesa nell’Ade e ritorno, avevo pensato di recensire l’esperienza inizialmente alla Salò di Pasolini, dividendo il racconto in vari gironi etc. indugiando su quello della merda, per esempio, ma poi mi son detta checcazzo, se c’è una cosa che piace a Caramelle son proprio i video di questo alkyla, sarà ben contento di vedere, proprio sulle pagine del blog dove è accampato abusivamente da anni come il peggiore dei punkabbestia, un omaggio al suo mito personale! Dopo tanti egocentrici post del Gori sulle proprie passioni, musica, film, cazzate varie, finalmente un po’ di spazio agli interessi di Caramelle, ai suoi sentimenti, ai suoi teneri vibrati. Un omaggio al Caramelle uomo, persona e pure un po’ fanciullo. Accingendomi a scrivere, mi son detta, sì, è giusto: un po’ d’alkyla se lo merita e glielo dobbiamo.

Eccovi quindi 4 tutorial pronti all’uso, raccontati alla maniera di questo simpaticissimo nerd e in versione stampabile, che alla bisogna possono fungere anche da comodi bignami del regolamento e prontuari di vari tips, utilissimi per un rapido ripasso quando il Gori vi inviterà a casa sua e tirerà fuori una di queste 4 fantomatiche scatole.

Per l’occasione, ho scelto anche di associare ad ognuna una canzone di Baglioni che richiamasse, nel testo o nell’argomento, il tema dominante del gioco. Mi è sembrato un gesto carino nei confronti del tenutario del blog, che spero apprezzerete.


Bando alle ciance, partiamo dunque dalla prima trave in culo che mi son ritrovata, il german game per eccellenza.

Caylus!

Scopo del gioco: leccare il culo a Filippo il Bello finché lo stesso non risulti levigato come un ciottolo di fiume.


Componenti: lavoratori (per dirvi la simpatia, qui alkyla, c’avrebbe già inserito il famoso spezzone del film di Sordi, con Caramelle scompisciato davanti al monitor, ci scommetto), cubetti risorse, segnalini, monete, casette, balivo, prevosto e antani, oltre naturalmente all’enorme tabellone attorno al quale prendo posto disperata, e tessere di tutti gli edifici possibili, di ogni foggia e materiale, dei quali non ricorderò mai le caratteristiche perché se nella vita avessi voluto fare il fottuto capocantiere non avrei certo fatto quel prestigioso stage alla Tucker Tubi, ti pare.


Canzone di Baglioni scelta da associare al gioco: “Sisto V” in quanto il riferimento al Papa è la cosa più vicina a un prevosto che si potesse rintracciare nella sterminata discografia del nostro idolo. Il brano è cantato in un forzato dialetto, con tanto di “fusse”, “fijo”, “m’ariccomanno”, Signore Iddio. Il Medioevo cala dentro di me come una scure.


Svolgimento del gioco: detersione del tavolo con lanciafiamme, umilianti raccomandazioni materne (“Vado in bagno”, “Sì ma dopo lavati le mani eh!” il che se non mi facesse incazzare potrebbe anche suscitarmi tenerezza, visto che non me lo dicevano dalle elementari) (dio, che voglia in quel bagno di applicarmi una french manicure di smegma fresco sotto le unghie, ma non lo faccio #perchésonounasignora), sterilizzazione di tutta l’epidermide che sporge dai vestiti, eliminazione di bevande/dolciumi e qualsiasi altro articolo mangereccio dalla tavola, eccetera eccetera: vabbè, tutto questo lo sapete già.

Il Gori illustra le regole, e per me è già panico. Seriamente, dove sono i dadi? Le carte? I quiz? Io sono una che trova Forza Quattro un gioco di posizionamento e strategia già abbastanza impegnativo. Che cazz’è tutto ‘sto ambaradan dispiegato sotto i miei occhi? Ho già deciso quale sarà la mia strategia di gioco: a un certo punto della partita, mi fingo morta. Non conto tanto di riuscire a impietosire il Gori (figuriamoci, quello al massimo si preoccuperebbe che non schiumassi sulla preziosa plancia prima di collassare), piuttosto spero di far leva sui sentimenti del mio moroso, compagno di vita, dolce metà, l’amatissimo Scaglia, che infatti non perde tempo a calarsi completamente nella dinamica di gioco e, competitivo come una merda, mi confina fin dal primo turno nel più indifferente degli oblii.
Ricorderò per sempre lo sgomento che ho provato a inizio partita, al primissimo turno, quando il Gori mi fa: “Sta a te”. Nella vita ho fatto molti lavori, ho cambiato diverse aziende e mansioni, e in effetti ci sta che i primi giorni in un nuovo ruolo uno si senta disorientato, impaurito, confuso, a maggior ragione se si è mentito nel curriculum. Orbene, la storia si ripete. Alla lettura del regolamento avevo annuito convinta, barando spudoratamente, e alla domanda: “Tutto chiaro?” avevo fatto seguito con un Sì deciso, prevalentemente per accelerare la fine del supplizio, convinta che tanto i giochi son così, “son più facili da fare che non da spiegare” ma la verità è che adesso ho davanti settantamila ‘pezzi’ di ‘cose’ diverse di cui, davvero, non colgo il senso (tranquilli, lettori: non lo coglierò fino alla fine). Che m’invento? I grandi occhi da cerbiatto del Gori attendono fiduciosi una mia mossa e già tradiscono un po’ d’ansia. Getto un lavoratore a casaccio a costruir delle segrete, e il gioco può proseguire.
Il martirio va avanti per qualche ora, durante le quali succede un po’ di tutto: i coglioni mi si schiantano al suolo, lo Scaglia si fa completamente assorbire dal gioco e accumula punti prestigio su punti prestigio, il Gori comincia impercettibilmente a fumare dalle orecchie per la tensione e il nervoso. Ma l’esperienza di quest’ultimo e la sua visione di gioco a 360° hanno la meglio, grazie anche a un piccolo baco di sistema per cui avendo lui costruito non mi ricordo cosa, una maglieria? Un telaio? qualcosa attinente al tessile, insomma, ottiene vantaggi ad ogni turno superiori ai nostri e alla fine (comunque meritatamente) vince.

Conclusioni: chi accusa Caylus di essere un gioco calcolatore, troppo deterministico, con scarsa interazione tra giocatori e, in definitiva, meccanico e freddo, può essere tranquillamente smentito dalla sottoscritta. Quale donna non si scalderebbe come una cagna in calore a stare in piedi fino alle 5.30 nella nebbia di un venerdì sera senza poter bere né mangiare, ad accumulare cubetti colorati per costruire cazzate di cartone?

Ma non avevo ancora visto tutto. La sera dopo infatti s’è giocato a…

Fresco!

Scopo del gioco: realizzare, pezzo per pezzo, l’affresco più inguardabile e peggio disegnato della storia dell’arte di tutti i tempi.


Componenti: colori, colori, colori! Mi sento frocia! Colori da mescolare per ricavarne altri, cubettoni sempre più grandi mano a mano che le nuance si fanno ricercate come nelle metafore della Mazzantini. Monetine da buttare nel pozzo dei desideri, una propria plancia personale che funge da studiolo e nasconde agli altri le tue mosse e, naturalmente, i segnalini dei lavoratori, che qui per l’occasione sono definiti apprendisti. C’è anche il vescovo che non mi ricordo esattamente cosa fa, qualcosa del tipo che ti raddoppia i punti se gli decori la vetrata sotto al naso. Questi german game sono di un servilismo…!


Canzone di Baglioni scelta da associare al gioco: “Poster”, di cui ci tengo a sottolineare termini come ‘upìm’ e ‘films’, e non aggiungo altro.


Svolgimento del gioco: qui la meccanica mi è già più chiara, ricordandomi da vicino gli anni universitari trascorsi a Bologna. In pratica, se ti svegli tardi non combini un cazzo ma sei bello e riposato e ti atteggi da artista, se ti alzi presto ti accaparri le occasioni migliori ma in compenso arrivi a sera che hai bisogno di sfondarti d’alcool, droga e puttane per poter dire che hai vissuto. C’è il vescovo, che può essere equiparato a un qualsiasi orrendo barone universitario come ne abbiamo conosciuti a milioni, ci sono i colori, le cui combinazioni le impari in prima media alle lezioni di educazione artistica, e ci sono i ritratti, tutti diversi, che possono darti premi immediati o benefici permanenti. Per noi fanciulle, proprio perché ci sono di mezzo tutte queste frocerie e cagate decorative, è un gioco molto più godibile e gestibile, oserei dire quasi divertente. A livello di strategia/tattica/sounasega, mi sono rivelata una terrificante banana anche in questo, ovviamente, ma la piccola soddisfazione personale è stata riuscire a togliere l’arancione al Gori, un colore determinante per il suo avanzamento di gioco: figliolo, bastava che ti alzassi un’ora prima da letto e tutto questo non sarebbe successo! Ricorderò per sempre lo sguardo che mi ha rivolto Alessandro quella sera, distrutto, devastato, Sofia Loren che assiste impotente allo stupro della figlia, quando gli ho comprato sotto agli occhi tutte le riserve d’arancione presenti sul mercato. Oddio, un pelino mi è pure dispiaciuto, soprattutto perché il nostro beniamino per colpa di questo suo errore quella notte non ci ha dormito, ma cazzarola se persino nella finzione di gioco ti pesa il culo alzarti prima di mezzogiorno…! Il denaro non dorme mai, lo sappiamo fin dagli anni Ottanta!

In considerazione di ciò (e notare che sono di nuovo le 5 del mattino, come nel Giorno della Marmotta), lo Scaglia vince a mani basse, il Gori si piazza secondo, io maledico il giorno in cui mi sono connessa a Internet per la prima volta.

Conclusioni: come dicevo innanzi, essendo un gioco un po’ più schematico rispetto a Caylus, più limitato nelle scelte e sicuramente con meno cose da tenere a mente o da valutare ad ogni turno, si adatta più facilmente alle mie ridotte capacità mentali.

Dopodiché decido di darmi la definitiva zappa sui piedi (ahahah, nota il gioco di parole con zappa, finissimo) scegliendo come terzo gioco…

Agricola!

Scopo del gioco: andare dove tanti ci hanno già mandato, appunto. A zappare.


Componenti: tutto ciò che braccia rubate all’agricoltura come le nostre devono possedere per sviluppare e mandare avanti una fiorente attività nel settore. Bestie (pecore, vacche, cinghiali), steccati entro i quali recintare le suddette bestie, grano, ortaggi, grandi miglioramenti, piccoli miglioramenti, stalle, terreni, figli venuti al mondo come conigli, e tutta la più becera retorica contadina possibile immaginabile, al punto che infatti…


Canzone di Baglioni scelta da associare al gioco: “Ragazza di campagna” (dio mio).


Svolgimento del gioco: forti del fatto che la sera prima ci siamo guardati in loop il filmato-tutorial realizzato da alkyla (nei confronti di questo personaggio, il Gori mi confesserà infine che Caramelle più che ammirazione prova proprio una sorta di attrazione omosessuale, ma questo resti un segreto tra me e voi, fidati lettori), e intrigati dal fatto che sui forum c’è gente che dichiara di *aver pianto* durante lo svolgimento di una partita (tipo terapia di gruppo, credo… – no, Gori, non lo dettaglio meglio questo punto, perché non l’ho capito neanch’io perché la gente ci ha pianto sopra!), ci approcciamo al gioco con lo spirito di chi a un certo punto della vita molla tutto e va a vivere in una comunità di hippy. Io poi ho sempre desiderato avere un orto! Mi sento carica, volenterosa, in armonia con la madre Terra. Lo scontro con la dura realtà sarà, come sempre, impietoso.

In pratica, come nella vita, se metti al mondo uno sbanderno di figli, dopo non è che ti puoi lamentare se vai in giro con le pezze ar culo a chiedere l’elemosina. Il fattore più stressogeno in Agricola è proprio quello di dover sfamare famiglia e prole a ogni turno. Però ci sono tante cose che puoi fare per racimolare il cibo necessario: coltivare gli ortaggi, macellare i cinghiali, cuocere il pane etc. E’ veramente un gioco che ti riconcilia con i ritmi del tempo che fu, e durante la partita io già mi sognavo, nel casolare sperduto rilevato con i soldi del Tfr, la merda di vacca a mezza gamba, a bestemmiare su un metro quadro di terreno arido come il Sahara per cercare di coltivare carotine asfittiche prontamente divorate dalla proverbiale talpa.
C’è però da dire questo: è un gioco che prevede un fattore aleatorio abbastanza importante, determinato dalle carte che ti capitano in mano a inizio partita. Mentre il Gori e lo Scaglia avevano pescato carte Occupazione che davano enormi vantaggi, tipo l’amministratore delegato, il funzionario di Equitalia, il monarca assoluto, a me erano capitate cose tipo il clown degli ospedali, il venditore porta a porta, il torbido Renato etc. etc. Se loro tra i Miglioramenti da giocare avevano fin dall’inizio la botte da cui spilla vino all’infinito, il resort a Malindi e la moltiplicazione dei pani e dei pesci, a me erano toccate le crocchette fatte con la cricca delle dita dei piedi, due etti di mortadella e un buono da 5 euro da spendere al Lidl. Mica giusto!
Comunque sia il gioco procede spedito, perché in campagna ci sono sempre un sacco di cose da fare. Mentre i due uomini si sfidano all’ultima pecora, e lo Scaglia in piena trance agonistica comincia a sgranocchiare arachidi fritte non rendendosi conto che sta sozzando completamente il gioco con le sue manacce unte (se il Gori fosse stato un minimo, ma proprio un pelino più in confidenza, gli avrebbe mangiato il cranio come il conte Ugolino, e invece zitto, muto, devastato) io che come al solito dopo tre turni sono già fuori partita vagheggio un futuro da coltivatrice diretta, in equilibrio con la Natura, e tento di far accoppiare i cinghiali con le vacche per produrre il mostruoso ibrido che mi renderà famosa in tutto il mondo.
Finisce che io come al solito ho i maroni a julienne, lo Scaglia vince seppur di poco, e il Gori passa tutta la notte a decontaminare il tabellone e i segnalini con una miscela di ipoclorito di sodio, ipoclorito di calcio e glutaraldeide.

Conclusioni: certa gente dovrebbe andare a lavorar la terra sul serio.

Non è ancora finita, infatti abbiamo…

Wizwar!

Vi dico già che è l’unico gioco che mi ha visto vincere, pertanto è bellissimo, stra-figo, iper-complicato, con rocamboleschi colpi di scena, per veri intenditori.

(…)
Cazzate, in realtà è una baggianata di gioco che non ti porta a fare alcun ragionamento sensato e che prevede l’impiego di maghi, amuleti, tesori, incantesimi, di cui manco voglio parlare perché il candore dei miei 8 anni l’ho scaricato nel cesso da un pezzo. Ovviamente ho vinto soltanto perché i due miei miti hanno passato tutto il tempo a scagliarsi contro i sortilegi, e la donna trascurata – come nella vita – ne approfitta per prendere i soldi e scappare.
Grazie a Dio, abbiamo concluso. A voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, dedico l’ultima canzone di Baglioni scelta da associare al gioco, “Pace”. Sotto un cielo mago, signori. E meditate che tutto questo – realmente – è stato.

Pace a te per quello che mi hai dato
e per tutto ciò che tu non mi desti mai
e così da solo un cuore l’ho trovato
forse un mondo uomo
sotto un cielo mago
forse me
ora sono libero
un uomo
oltre

Circobazooko
____________

QUI il tutorial di alkaya per Caylus
QUI quello per Agricola.


20 curiosità sulla sindrome di Down

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CHINESE DOWN SYNDROME PERFORMER HU YIZHOU CONDUCTS AT A CONCERT IN SEOUL.

  • I down hanno quell’espressione un po’ così perché pensano al malto e ai dadi. Malto e dadi tutto il giorno.
  •  I ragazzi down quando gli dici che è morto il loro papà scoppiano in lacrime poi sempre meno perché pensano alla focaccia (“‘a phocatchaaa…”).
  •  Un down quando vede un distributore di bevande calde per prima cosa tenta di averci un rapporto sessuale.
  •  E’ incredibile come un down abbia il suo codice genetico sovrapponibile per il 98% a quello del citofono.
  •  I down sono così teneri che danno i bacini alla mano del ricercatore che li sta vivisezionando, gli sorridono e quando muoiono fanno “GHA!”.
  •  Consiglio ai ragazzi down per chiavare facile: andate nei caffè letterari, ordinate un biancosarti e provate a dire/urlare “AAH LA MALA DEL BRENTA!”.
  •  Un ragazzo down inserito in un grande prisma di plexiglass e fornito di un coltello si uccide nel giro di 4 minuti.
  •  Se regali Cluedo a un down la prima cosa lo spacca.
  •  Quando i ragazzi down parlano fra di loro e non sono visti da altri non-down, è tutto un “ragioniere”, “dottore carissimo”, “caro geometra le presento…”.
  •  La cantante preferita dai down è Emma Bunton.
  •  Da anni ormai esiste una lobby dei down che detta legge nel mondo della lavorazione della terracotta. Se decidono che non gli piaci sei fuori.
  •  Geneticamente, i down non possono amare. Appena c’arrivano vicino si bloccano per un attimo e poi odiano.
  •  Alcuni down si giustificano che non riescono ad amare “pecché ‘ono rimatto ‘cottato!”.
  •  Viene definito cuckolismo omeopatico quello in cui si cerca un ragazzo down come bull.
  •  Durante lo starnuto d’un down, per un attimo la lingua esce da sotto l’occhio.
  •  Quando a tavola dici a un down che vivrà meno delle persone normali, si chiude a riccio e rifiuta il budino perché pensa che così facendo cambi qualcosa.
  •  Recapitare ad un ragazzo down un messaggio con su scritto “ignora il messaggio precedente” era il metodo usato dai nazisti per fare impazzire senza ritorno queste povere anime.
  •  I down considerano gli autistici degli snob, mentre gli autistici li considerano dei superficiali.
  •  Gli scienziati down studiano tutti il cadmio perché è più facile.
  •  Quando muore un ragazzo down importa poco anche ai genitori.

Battaglie da condividere

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BRINDO AL BIMBO CHE HA CAMBIATO IL MIO CORPO DI RAGAZZA IN QUELLO DI DONNA SUMMER! HA CAMBIATO LE MIE SERATE CON GLI AMICI IN SERATE A LEGGERE FAVOLE SIGNORI NIENT’ALTRO CHE FAVOLE SULLA PRESUNTA CORRETTA GESTIONE DELLA CIRIO! BRINDO AL BIMBO CHE NON MI HA PIU’ LASCIATO IL TEMPO PER CURARMI LE UNGHIE E IL VISO E MI RIEMPIE LA BORSA DEGLI OCCHI DI GIOCATTOLI! VEDIAMO QUANTE MADRI ORGOGLIOSE COPIERANNO QUESTO MESSAGGIO NELLA PROPRIA BACHECA INTERIORE NON SU QUELLA DI FACEBOOK PERCHE’ COME SOCIAL NETWORK HA UN PO’ STUFATO!

LO SAPEVATE CHE:
-il cibo ci mette sette secondi ad arrivare dalla bocca allo stomaco;
-il femore è duro come il cemento;
-il pene è lungo tre volte il pollice;
-il lemure polinesiano è l’animale più intuitivo al mondo;
-il cuore di una donna batte più veloce del cuore di un uomo;
-le donne hanno già letto tutto, gli uomini ancora si stanno guardando tutti i documentari sul lemuri polinesiani perché gli uomini sono così.

Bellezza non sono i capelli lunghi… le gambe magre… la pelle abbronzata e i denti perfetti…
Fidatevi di me…
Bellezza è il viso di chi ha pianto tutte le lacrime per la Parmalat e ora finalmente sorride per i nervi…
Bellezza è la tua cicatrice sul tuo ginocchio destro fin da quando sei caduta da bambina sul sinistro…
Bellezza sono le tue occhiaie quando il tuo amore non ti fa dormire sugli allori costringendoti ad un nuovo video amatoriale per la CentoXCento…
Bellezza è l’espressione sul tuo viso quando suona la sveglia la mattina e tu eri sicura di non avercela e infatti ti risvegli in Aspromonte…
E’ il trucco colato quando esci dalla doccia in forma liquida…
Bellezza è tutto quello che provi dentro Grosseto e che si manifesta al di fuori di Grosseto…
Bellezza è la tua pelle che il tempo ha adornato di rughe usata da un pazzo per ricoprire una lampada…
Bellezza è il tuo sguardo ogni volta che lo vedi tornare a casa Pound…
Bellezza è incrociare il suo sguardo e improvvisamente non capire più niente del perché Scialpi si pettina così: gli fa il naso strano!

Se un giorno mi vedrai vecchio, se mi sporco quando mi mangio le unghie e non riesco a vestirmi da Alberto Sordi… abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnartelo. Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose su Equitalia, non mi interrompere… ascoltami, quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi il pollice con un laccio di fortuna e dell’acido prussico. Quando non voglio lavarmi non farmi vergognare… ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno in acciottolato e ottone. Quando non riesco a ricordare o perdo Il Filo Del Discorso non ti innervosire tanto era brossurato. Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo di tango non trattarmi come fossi un peso, vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l’ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi in quel ballo bastardissimo credimi che è il calipso. Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te e ho tentato di spianarti la strada sulla vendita degli arredi per il bagno in acciottolato e ottone. Dammi un po’ del tuo tempo, della tua pazienza e fammi appoggiare la testa sulla tua spalla disossata Valtiberino in offerta allo stesso modo in cui io l’ho fatto per te. Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza, in cambio io ti darò un sorriso e l’immenso amore che ho sempre avuto per te, Ottone.


Doppiatore!

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Lo Sgargabonzi da voce alla piccola e media imprenditoria in crisi. Da 0.59′ in poi.

Regia di Francesco Faralli (‘rsona squisita).


Note sparse su Sanremo 2013

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20130215_moda-plagio-sanremo

  • Anche quest’anno mi sono accorto che quando uno arriva a metà febbraio in difetto di carisma basta che dica “Sanremo? Guarda, mi rifiuto!” e la pelle gli si ridistende subito.
  • Nella seconda serata dovevano esserci i Ricchi & Poveri come ospiti, ma la mattina è morto per overdose il figlio del baffo Franco Gatti e come fai? Vai là e canti “oh cherie cherie” come se niente fosse? Naaa.
  • Se uno nella vita ama alla follia Max Gazzé o letteralmente lo detesta, c’è sempre qualcosa che non va.
  • Peter Cincotti è uno che anche i fan e le groupie più sfegatate hanno solo la raccolta data con l’Espresso e forse un singolo ma non lo ritrovano.
  • Il cantante aretino Il Cile ha vinto il premio per il miglior testo. Gliel’ha consegnato Caetano Veloso. No dico: Caetano Veloso. Beh, se glielo consegnava il Piervenanzi della Gelateria Violetta oppure la maga Bonicioli gli avrebbe fatto più feste. Invece il rottinculo non s’è manco accorto di chi fosse.
  • Kekko dei Modà, giustamente, nel testo della canzone dice che vorrebbe “rinascere ogni mese per risentire la dolcezza di una madre e un padre”. Mi chiedo perché “risentire” e non “sentire ancora”. E questa è una. Poi: perché la scelta di “ogni mese”? Forse ogni ora era da monomaniaco, ogni anno suonava troppo annacquato. Secondo me voleva dire settimana e però non era tanto convinto. Ma un certo punto il batterista: “e se dicessimo mese?” E Kekko felice, dizionario alla mano: “mese! esiste! GENIO! mese!” Bellissimo anche tutto l’assioma vitruviano che se i baci si potessero mangiare eccetera le carezze addosso alla faccia le cose.
  • Una volta si chiamavano invertiti e venivano curati con iniezioni di solfato prussico nelle meningi davanti ai genitori distrutti, oggi li chiamano Anthony & The Johnson, li fanno cantare, dire due stronzate sulla violenza contro le femmine nel mondo del plancton e via andare.
  • Bravo Bocelli superospite, certo, oltretutto col figlio. Peccato che nessuno abbia ricordato che il tenore voleva far abortire la moglie quando gli dissero che il figlio forse sarebbe nato daltonico. Questo per dire la persona.
  • Il cantante dei Marta Sui Tubi lo decise tanto tempo fa, forse già adolescente: o il carisma o i baffi. La seconda.
  • Ho sempre trovato carino e dignitoso che una donna non riveli, da come si veste, se da il culo o no al marito. Atto che porta con sé tutta l’umiliante ritualità dei clisteri, dello sputo a lubrificare e degli schiaffi sulle chiappe. Ma Maria Nazionale ti fa proprio vedere la scena.
  • Com’è che quando cantava Daniele Silvestri, dietro, c’era Antonello Fassari impazzito?
  • La canzone di Chiara è scritta sì da Francesco Bianconi dei Baustelle, ma solo il testo! E infatti musicalmente fa schifo. E tutti: “Eh ma il Bianconi le ha scritto una canzone che fa schifo!”. E io: “No, lui ha scritto solo il testo!”. E loro: “Ah ok!”. E il giorno dopo: “Eh ma il Bianconi le ha scritto una canzone che fa schifo!”. Questo per dire le persone.
  • Ah, voi che “vabbé, guardo Sanremo giusto per Elio” vedo che non vi siete accorti che la canzone finita in gara è d’una pochezza toccante e vive solo di rendita e ricordi, così come il 90% delle canzoni di Elio dal ’99 ad oggi. Ah però certo, “tecnicamente mostruosi!” Se Kekko dei Modà, uno che manca di tutti i cromosomi dispari, scrivesse canzoni umoristiche invece che da peso sulla coscienza, gli uscirebbe all’incirca La Canzone Mononota degli Elii. Ah però certo, “tecnicamente mostruosi!”.
  • “La prima volta che sono morto… lalalalà accorto…. il film con Pasolini!” Ma va’ a cagare, va’.
  • Solo io ho avvertito nella voce di Anthony & The Johnson tutto il dolore dell’universo e affini? Che poi quel The Johnson sarebbe Johnson Righeira ma se ne andò prima della firma del contratto, ecco perché la voce di Anthony è sofferta.
  • Nella serata di giovedì il nadir di questo festival. Per chi se lo fosse perso:
    Fazio ad Al Bano: “E Romina?”
    E Al Bano: “Romina è al bagno”
    In sala il gelo.
  • Saviano su Twitter: “Se Dio avesse una voce sarebbe quella di Antony. Di uomo, di donna, d’uccello, d’ottone, di carne, d’aria, di utero, di bianco, di afro, di anziano, di bambino, di deserto e del nostro sud interiore.” Roberto bastala un po’  dai.
  • Ah giusto, ecco il podio per chi s’è perso questa edizione. Ha vinto Antonella Arancio, seguita dai Luciferme e Leandro Barsotti. Quarto Marco Mengoni. Quinti, ovviamente, Eramo & Passavanti.
  • Pochi cazzi, ecco la più bella canzone di questo Sanremo. Toccante e antiretorica come solo Silvestri sa fare. Un cantautore per cui la composizione musicale non è un inciampo, una pratica da sbrigare come per i vostri Dente, Brondi, Brunori, Mannarino e altri poveracci che odiano la musica e la rendono roba misera, da chiacchiere in enoteca. Melodia, arrangiamenti e testo, mai come in questo caso, sono fusi in una cosa sola. E il melange è affascinante: disillusione, tenerezza, ironia e nessuna epica, tutto quello che mai t’aspetteresti in una canzone sulle manifestazioni in piazza.

Questa è la sinistra italiana

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PD - elezioni amministrative

In queste ore di elezioni, ecco cosa commentano i protagonisti dai rispettivi profili Twitter:

“Secondo gli exit-poll stiamo stravincendo! Ottimo! Direi che a questo punto possiamo evitare di andare a votare e goderci la domenica.” 
(Pierluici Bersani, PD)

“Mi rivolgo agli amici del PD: e se per dimostrare quanto siamo superiori alle sue manfrine dessimo, come gesto provocatorio, il nostro voto a Berlusconi? Sarebbe una scelta importante, di rottura ma anche, lasciatemelo dire, un bello schiaffo morale. Rifletteteci e passate parola.”
(Walter Veltroni, PD)

“Dopo questi stancanti mesi di propaganda per togliere voti a Berlusconi, oggi mi sono confuso e ho fatto la croce sul simbolo suo! ORA NE SERVONO ALMENO ALTRI DUE CHE NON LO VOTINO!!! UNO PER COMPENSARE IL MIO VOTO MANNAGGIA LA MADONNA!!!”
(Antonio Di Pietro, Rivoluzione Civile)

“ATTENTI A VOTARE CON LA MATITA CHE TI DANNO LORO, CHE POI LI CANCELLANO!! SVEGLIA GENTE!!! MARCATORE NERO IN TASCA PER TUTTI!!! SE STASERA VIENE FUORI CHE ABBIAMO FATTO SOLO IL 20% E BERSANI IL 35% C’E’ SOTTO QUALCOSA E GLIELE FACCIAMO RIFARE GLIELE FACCIAMO!!!”
(Beppe Grillo, Movimento 5 Stelle)

“Glabloglogne bolbo bolbo”
(Antonio Guidi, PSI)



Topi

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Tutto intorno muore.
E di notte lo fa più in fretta.

Cesenatico, estate 1983, le foto dei miei genitori giovani e felici. Poi ricordo la caraffa sul camino che ci ha visti a tavola per trent’anni e che un giorno qualunque è caduta e s’è rotta. Liquirizia, il mio storico gatto nero, morto a 16 anni sotto la macchina di uno che non aveva nessuna colpa. Non ho foto di Liquirizia. Un giorno mi venne in mente di fargliene una mentre giocava con una biglia dei ciclisti, ma non avevo voglia di salire a prendere la macchina fotografica e così rimandai. C’è una cartolina di Alan Ford caduta dietro questa scrivania circa trent’anni fa. Quando mi capiterà di smontarla, se mai capiterà, la rivedrò. E’ a poche decine di centimetri dai miei piedi e insieme lontana galassie. Un vecchio a Bari è morto in solitudine, all’improvviso, nella sua topaia dopo una vita di merda. Sono l’ultimo che l’ha visto vivo, Nicola. Quella porta che ho chiuso, si è riaperta solo quattro giorni dopo, quando l’hanno ritrovato. Mentre viveva le sue ultime ore d’agonia, chissà cosa stavo facendo due piani sotto. Le cicatrici sul mio braccio saranno le stesse, identiche, che avrò sul mio letto di morte. Ci sono film che ho visto e che non mi troverò mai più a rivedere e non so quali sono. Ci sono piccole insospettabili cose che non mi troverò più a fare e che, l’ultima volta che le ho fatte, non c’era un led rosso che s’illuminava per avvertirmi che quella sarebbe stata l’ultima. Mi manca Liquirizia, un gatto che sposava un genio selvaggio ad un senso toccante della responsabilità. Ho sempre pensato che se avesse potuto avrebbe aiutato mia nonna quando andava a cogliere l’erba per i conigli o mio babbo a compilare la dichiarazione dei redditi. Mentre Nicola moriva su una sedia, spaventato e solo, il colibrì del suo orologio a cucù continuava ad uscire e cantare. Forse si sente ancora, per quelle scale.
E poi ci sono diapositive non replicabili di momenti che furono d’una bellezza perfetta e lacerante. Purtroppo ne ho a miliardi. Ricordi dolcissimi in grado di rovinare vite. Ti accarezzano la testa mentre tributi loro le lacrime più calde e intanto t’inchiodano i jeans al suolo. Come una bàlia pietosa che ti tiene sedato nel viaggio del declino. “Stai tranquillo amore, andrà tutto bene”. Così che non ti cada lo sguardo sulla decomposizione oltre i finestrini.
Chissà cosa cambierebbe, se fossi l’opposto di quello che sono oggi. Non sono mai stato uno di quelli che dicono “rifarei tutto”. Tornassi indietro imboccherei la destra dove ho preso la sinistra e viceversa, a prescindere. Non è tanto il rimpianto quanto la curiosità. E forse mi ritroverei comunque qui dove sono, al gelo sotto le coperte nella casa al mare di un amico, col rumore del solito topo che da tanto tempo ha preso casa nel cassone dell’avvolgibile. Che si muove tutta la notte e che stanotte si muove poco e si muove sempre meno. Forse per il veleno che il mio amico ha messo lì oggi pomeriggio. Mentre sono qui che snocciolo immagini retoriche digitando su un cellulare, sangue si secca nelle vene d’un inutile ratto, che smette di esistere per non tornare a esistere mai più. Ecco, l’ho sentito di nuovo.
In momenti d’imbarazzante melensaggine penso che non siamo eterni, che bisognerebbe solo stringerci come fuggiaschi in una botola mentre suole di stivali nazisti passano a pochi centimetri dalle nostre facce impaurite. Invece va bene sprecare il tempo a leccare il culo alle rockstar e a testare quanto potere abbiamo su chi è dalla nostra parte, quanto possiamo tirare la corda, mettere tempo in mezzo, sempre e comunque, collezionare appuntamenti mancati, non esserci quando c’è bisogno di noi, dire vai invece che resta, sempre e comunque. L’orgoglio, avete presente? La medaglietta di latta che tirate fuori voi falliti che non avete mai avuto una dignità vostra.
Che notte di merda, in perfetta scala a rappresentare questa esistenza per come ce l’hanno fornita. In notti così non serve a niente nemmeno l’amore, che è solo quello dei quattordici anni, quando pensi che ci saranno solo campi verdi e sterminati su cui correre e domeniche pomeriggio passate a scoprire nuovi gusti di gelato. E se mi dicevano che l’aldilá non esiste, io avrei pensato che da lì a che ero vecchio si sarebbero organizzati per costruirlo da qua. Non avrebbero più permesso che si sparisse così. Mi sarei aggrappato impaurito alla manica di mio babbo e gli avrei chiesto se la Banca Popolare Dell’Etruria avrebbe potuto fare qualcosa. D’altronde la Banca a Natale regalava cinquantamila lire ai figli degli impiegati. Io li spendevo da Bobini Giocattoli. Ricordo il mio primo gioco da tavolo: Doctor Doctor.
Ora dormo, con l’orecchio vigile all’arrivo del corriere che fra qualche ora mi porterà un nuovo gioco da tavolo. Diecimila giorni da quella scatola bianca di Doctor Doctor, dalla foto dei miei alla pensione Garisenda, da Liquirizia e la sua pallina di Saronni. Che bella la vita. Domani sarà tutto pateticamente risolto e imbusterò le carte una ad una, con le bustine ad alta grammatura che costano il doppio, così che non si sciupino, che restino come sono. E pure io e tutto quello che ho intorno, con loro.


22 curiosità su Papa Francesco I

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  • Quando apprese della morte di Papa Giovanni Paolo II stava mangiando del petto di tacchino ma gli si chiuse completamente lo stomaco e passò subito alla Viennetta.
  • Auspicando che la Chiesa ritrovi il valore della povertà, ha rinunciato per prima cosa alla penna stilografica papale gettandola nel water papale e tirando lo sciacquone papale.
  • Non crede nell’esistenza dell’apostolo Barnaba (comunque minore).
  • Quando era un semplice parroco e celebrava matrimoni, è notorio si facesse dare due bomboniere metti caso una si rompe.
  • Ha rifiutato il tradizionale Anello Piscatorio d’oro, preferendone uno semplice in ferro come dimostrazione della sua mancanza d’autostima.
  • Ha dichiarato che s’impegnerà per rendere Virtù Teologale la saudade.
  • In un’occasione pubblica ha scambiato il conclave per il synclavier gettando nell’imbarazzo l’istituzione cardinalizia.
  • E’ solito consumare una colazione frugale: latte, biscotti olandesi, un mandarino (o arancio) e un dischetto di torba.
  • Sua madre era una maestra elementare di Còrdoba, suo padre un ninja.
  • Nella cernita di nomi prima di decidersi su Francesco I, c’è stata per un attimo la tentazione per uno Shakira 3000.
  • Si dice sia affetto da bolbofobia, ovvero il terrore delle bottiglie di spumante secco appoggiate sopra le mandrie di bisonti in fuga.
  • Nel suo taschino papale trova rifugio Sentimento Caprese, suo storico criceto e fraterno amico.
  • Il suo film preferito è La Mosca, ma non ha mai visto il primo tempo per vari impegni e gli ultimi minuti.
  • Una volta ha dato uno schiaffo ad un cardinale sostenendo che sulla guancia s’era posato un falco.
  • In Argentina ha appoggiato il regime totalitario ad una mensola perché doveva legarsi le scarpe.
  • Ha sempre criticato gli squadroni della morte perché, a suo dire, si spende tanto e si mangia così così.
  • Ha fatto il giro del mondo la sua dichiarazione sul LaserDisc: “è una tecnologia morta”.
  • Ha avuto la vocazione a 55 anni. E’ stato per lungo tempo marito dell’attrice Lauren Bacall con la quale non riusciva ad avere rapporti.
  • E’ solito usare NOD32 come antivirus. Lo disinstalla dopo i 30 giorni di prova per poi reinstallarlo (cosa prevista dal programma), ma sulle ragioni della disinstallazione ama cliccare su “mancanza di funzionalità”.
  • E’ di origine italiana, figlio di immigrati piemontesi. Anzi di più, è un tabaccaio di Asti.
  • Leggendaria è la sua amicizia con Aldo Agroppi.
  • Conosceva 13 delle 16 vittime del mostro di Firenze.

Ecco chi sono i 10 saggi

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La situazione è difficile, il quadro complesso. Per risolvere la crisi politico-istituzionale che sta impedendo la formazione di un nuovo governo, il presidente Giorgio Napolitano ha nominato dieci «personalità tra loro diverse per collocazione e per competenze» per «formulare precise proposte programmatiche».

Queste dieci personalità sono immediatamente state ribattezzate «i dieci saggi». Ma chi sono costoro? Ecco in breve, uno per uno, i profili degli uomini che da oggi inizieranno a lavorare per trovare una soluzione alla crisi politica.

Salvatore Rossi: è vicedirettore generale della Banca d’Italia dal gennaio 2012, nonché componente del Direttorio dell’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni e membro del Comitato Strategico del Fondo Strategico Italiano. Bassista e membro della formazione originale dei Mothers of Invention era stato precedentemente fra i fondatori dei Soul Giants nel 1964, band dalla quale si formarono i Mothers e composta anche da Jimmy Carl Black e Giovanni Pitruzzella. Ha 64 anni.

Giovanni Pitruzzella: nato ad El Paso (Texas), di sangue Cheyenne, è presidente dell’Antitrust dal novembre 2011. Negli anni precedenti è stato a capo della Commissione di Garanzia sugli Scioperi. È avvocato cassazionista e docente di diritto costituzionale all’Università di Palermo. Nel 1988 è stato processato per aver accoltellato a sangue freddo un uomo (Felice Armitano) per un parcheggio. Ha 54 anni.

Gaetano Quagliariello: è stato concorrente alla quinta edizione dell’Isola Dei Famosi, diventato celebre per essere inciampato in un sorcio e aver tirato una ciabatta in acqua. Oggi è senatore del Pdl, presidente e fondatore della Fondazione Magna Carta. Nei ritagli di tempo, è mascotte e conduttore del programma per bambini La Caramella su Junior TV. Lo doppia Pietro Ubaldi. Ha 53 anni.

Giancarlo Giorgetti: è stata un’attrice e cantante malese naturalizzata statunitense. Fra le più note icone del mondo cinematografico della prima metà del Novecento, Giorgetti fu un vero e proprio mito, una diva, lasciando un’impronta duratura attraverso la sua recitazione, le sue immagini e l’interpretazione delle canzoni (arricchite da una ammaliante e sensuale voce). Un mix, raramente ripetuto dopo di lei, che è sufficiente a farla entrare nella leggenda dello show business quale modello di femme fatale per antonomasia. Oggi è deputato della Lega Nord e presidente della Commissione speciale per l’esame degli atti del governo alla Camera. Con suoi 47 anni, è il più giovane dei “saggi”.

Luciano Violante: è un esponente del Partito Democratico, esperto costituzionalista ed ex presidente della Commissione Antimafia, considerato uno fra gli eroi simbolo della lotta alla malavita organizzata. Sostiene da sempre che Giovanni Falcone venne assassinato in una lite in macchina dalla moglie e dagli uomini della scorta nell’omicidio-suicidio di Capaci. Fu l’unico a farsi vedere da Aldo Moro senza passamontagna. Ha 72 anni.

Valerio Onida: detto “il Cavaliere” in ragione dell’onorificenza di cavaliere del lavoro conferitagli nel 1977, ha iniziato la sua attività imprenditoriale nel campo dell’edilizia. Nel 1975 ha fondato la società finanziaria Fininvest e nel 1993 la società di produzione multimediale Mediaset. Nell’ottobre dello stesso anno ha lanciato il movimento politico di centro-destra Forza Italia, strutturatosi nel gennaio successivo e confluito nel 2008 ne Il Popolo della Libertà. Poi si è svegliato: era tutto un sogno! Ha 76 anni.

Mario Mauro: è stato docente e ricercatore universitario di Economia Ambientale presso l’Università di Siena. La sua vita è stata segnata dalla sclerosi laterale amiotrofica che lo ha portato alla morte nel 2006 a soli 44 anni. Oggi è presidente di Scelta Civica al Senato. Ha 51 anni.

Enzo Moavero Milanesi: è un papero bianco con becco e zampe arancioni. Solitamente indossa un gilet da croupier e una visiera – ma senza pantaloni. Alcuni credono che la Cina lo abbia censurato perché non porta i pantaloni, ma è una leggenda metropolitana. E’ stato definito da Roberto Saviano: «l’antieroe per eccellenza, l’incarnazione dell’uomo medio moderno, con le sue frustrazioni, i suoi problemi, le sue nevrosi». Oggi è ministro per gli affari europei del governo guidato da Mario Monti. Negli anni precedenti ha lavorato alla Commissione Europea ed è stato capo di gabinetto di Monti quando quest’ultimo era commissario Antitrust. Ha 59 anni.

Filippo Bubbico: detto anche “tema sospeso”, è un costrutto retorico in cui non è rispettata, volutamente, la coesione tra le varie parti della frase. È quindi una rottura della regolarità sintattica della frase, un effetto della mimesi del parlato. Anticamente era noto con l’espressione latina nominativus pendens, mentre oggi si limita ad essere presidente della Commissione speciale al Senato, pur dichiarando di rimpiangere quei tempi. Ha 59 anni.


Non tutti sanno che…

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Michele-Zarrillo

Quando uno conosce in treno Daniele Silvestri la prima cosa che ti dice è che è una persona normalissima.

D’Annunzio pare che si fece togliere due costole dal macellaio, pure dopo che aveva pesato e incartato, perché secondo lui spendeva troppo.

Pietro Germi si ispirò a Don Pino Puglisi per la figura del Sassaroli.

Joseph Ratzinger ci rimase molto male che Kano non compariva in Mortal Kombat 2. Poi quando tornò nel 3 era tutto contento e rideva.

La Passione di Cristo era blucerchiata.

Freud, nelle “Lettere al figlio”, ci parla di una Confartigianato interiore.

Su un pianeta senza forza di gravità, Pinelli sarebbe salito.

Yorgo Field, coreografo dei combattimenti di Van Damme, era malato di SLA dalla nascita e li dettava a un sacrestano sbattendo le palpebre.

Chi dice che Silvio Berlusconi è una brutta ragazza non c’ha capito un cazzo.

Bocelli voleva far abortire la moglie quando gli hanno detto che il figlio forse sarebbe nato daltonico. Questo per dire la persona.

A Briatore se gli tocchi Leopardi, Sclavi o il primo Pupi Avati lui impazzisce e non risponde di sé.

Per anni, l’unica persona che ha saputo tagliarmi la barba come voglio io è stato Mirko Setaro dei Trettré.

Se a Berlusconi dicessero “devi dire il quarzo è bello cucucù e vinci le elezioni” lui subito: “il quarzo è bello cucucù”.

Non è vero che Pistorius sia senza gambe: c’era una cassapanca davanti.

Nek è nella vita privata una persona capace di un’autocritica violenta e scarnificante, un uomo che non si lascia stare mai.

Paolo Vallesi è capace che se è rimasto 1 solo cioccolatino lui te li mangia tutti uno via l’altro senza vergogna.

Brunetta dice giustamente che i laureati invece di tirarsela dovrebbero andare a scaricare la frutta da internet.

Due escort su tre sono concordi nel definire l’ano di Berlusconi “un incantesimo dischiuso fra i petali del tempo”.

Michele Zarrillo una volta ha spaccato un pianoforte perché era convinto che dentro c’erano le caramelle.

SILVIA SALEMI HA CONFESSATO!!!!


Battaglie da condividere

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CI SIAMO STANCATI DI VIVERE IN UNA SOCIETA’ CHE PER TENERCI BUONI CI INSTILLA QUOTIDIANAMENTE IL TERRORE FACENDO PASSARE PER VERITA’ SOLENNI CAZZATE ANTISCIENTIFICHE COME IL FATTO CHE SI RISCHI LA VITA AD IMMERGERE IN ACQUA UN PHON ACCESO MENTRE SI FA IL BAGNO IO L’HO FATTO E L’UNICA COSA CHE E’ SUCCESSA E’ CHE SI E’ SPENTO PER POI RIACCENDERSI UNA VOLTA FUORI

E’ UNA VERGOGNA CI SONO 4 MILIONI DI ITALIANI CHE NON PERCEPISCONO LO STIPENDIO GLIELO METTONO DAVANTI E LORO NON RIESCONO A PERCEPIRLO COME UN DALTONICO IL COLORE COME AL POETA IL NITORE COME ALL’ACERO L’UNTORE

SENTIRE IL PDL PARLARE DI GIUSTIZIA E’ COME SE GIORGIO ALBERTAZZI PARLASSE DI TEATRO: CI STA!!! NON STO GRIDANDO NON MI STO LAMENTANDO STO SCRIVENDO MAIUSCOLO PERCHE’ SULLO SHIFT C’E’ UN INSETTO E L’IDEA DI LASCIARLO IN PACE E’ COME SE GIORGIO ALBERTAZZI SI PRENDESSE UNA POLMONITE D’INVERNO ORA CHE HA PIU’ DI NOVANTANNI: CI STA!!!

ATTENZIONE! STANNO METTENDO FILMATI PEDOPORNOGRAFICI COI NEONATI IN REGGICALZE A NOSTRO NOME NELLE BACHECHE DEI NOSTRI COGNATI SENZA CHE NOI CE NE POSSIAMO ACCORGERE! NOI NON LI VEDIAMO MA LE ALTRE PERSONE SI’! VEDONO I NOSTRI COGNATI TUTTI I MERCOLEDI’ AI GOKART! MENTRE CON NOI SEMPRE SCUSE ALL’ULTIMO MOMENTO! A VOLTE LI VEDONO COME SE FOSSERO UNA NOSTRA PUBBLICAZIONE, A VOLTE COME UN NOSTRO COMMENTO, ALTRE VOLTE ADDIRITTURA COME DON BOSCO! SE VEDETE UNA COSA SIMILE A DON BOSCO NELLA MIA BACHECA AVVISATEMI E NON APRITELO COL COLTELLO PERCHE’ E’ UN VIRUS COPIATE E PASSATE, O’ ERMIONE!

FUNZIONA! PER RICARICARE LE SCHEDE TELEFONICHE BASTA APPOGGIARLE DI LATO SU UNA BISTECCA/BRACIOLA E DALL’ALTRO LATO DARCI DI ASCIUGACAPELLI! PROVARE PER CREDERE!

SE PICCHI UN ANIMALE NON SEI FORTE… SEI UNA MERDA!!! Se lo uccidi sei forte.


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